Montezuma più Vivaldi le infinite vie del barocco

Le vie del barocco sono infinite. A Kiev anni fa fu riscoperta parte della biblioteca della Singakademie di Berlino, dispersa durante la seconda guerra mondiale, una preziosa collezione raccolta da Zelter, maestro di Mendelssohn, comprendente manoscritti di C. Ph. Emanuel Bach, ma anche molti altri di scuola italiana. È così riemerso il più recente manoscritto vivaldiano, l'opera Montezuma (Venezia, 1733) ispirata alle vicende del re azteco annientato nel 1521 dalle armate spagnole di Hermann Cortes. In realtà l'interesse del libretto di Alvise Giusti aveva indotto Malgoire già nel 1992 a una sorta di discutibile «pastiche», che applicava al testo la musica di altre arie vivaldiane. A Lisbona nel 2007 e lo scorso anno anche a Ferrara il Complesso Barocco di Alan Curtis ha restituito alla vita questo ritrovato capolavoro stasera in forma di concerto al Teatro Olimpico per l'Accademia Filarmonica Romana (tra gli interpreti Vito Priante e Laura Chierici). Il tema esotico ebbe straordinaria fortuna grazie ai trattamenti di Di Majo, Graun, Sacchini, Anfossi, Galuppi e Paisiello e più tardi ancora di Spontini a Parigi (Fernand Cortez) su precisa commissione di Napoleone che, accingendosi ad invadere la Spagna, voleva affermare la possibilità di convivenza tra vinti e vincitori. L'argomento sviluppava il tema della guerra di occupazione, tuttora quanto mai attuale, della vittoria sull'altro, sullo straniero: il genocidio di un popolo dalle antiche tradizioni. Un evento che doveva destare meraviglia e rassicurazione nei teatri veneziani frequentati dal fior fiore di aristocrazia e borghesia. Montezuma è un'opera che non parla solo d'amore, ma anche di politica perché tratta di contrasti tra diverse culture, della totale cancellazione di una cultura «altra» da parte di una società dominante. In Vivaldi la pari dignità concessa ai contendenti consente di rileggere in chiave moderna le vicende dei Conquistadores e una riflessione sui termini di barbarie e civilizzazione insospettabile per il primo Settecento. L'azione prevede un lieto fine, ma in realtà quella dell'incontro tra Vecchio e Nuovo Mondo fu tutta un'altra storia. E ben più sanguinosa.