Notturno Tasso

«Ne i vostri dolci baci/ de l'api è il dolce mele,/ e v'è l'ago de l'api aspro crudele./ Dunque addolcito e punto/ da voi parto in un punto". Davvero un elegante, delizioso madrigale, questo che nel breve giro di cinque versi, racchiude gioie e pene d'amore, affidandosi alla metafora dell'ape: per l'amante c'è il dolcissimo miele del bacio ma anche l'aspra puntura dell'ago. Torquato Tasso, perché è lui è l'autore di questo aggraziato gioco poetico, ne compose molte di rime, in un variare di motivi che vanno dalla schermaglia erotica all'encomio solenne, dalla interiorizzazione della natura e dalla trasfigurazione del paesaggio ereditate dalla lirica petrarchesca alla elaborazione di trame complesse e "concettose", tipica del tardo Rinascimento e poi dell'età barocca. Torquato Tasso, dunque, come uno "sperimentatore" che, via via che il suo "privato" si fa torbido e tormentoso, porta nella creazione i segni di interrogativi irrisolti, afflizioni e disagi? Ora, di intreccio tra vita ed opera d'arte si può parlare per tutti, sempre e comunque. Ma nel Tasso - come in quel Leopardi che lo sentiva fratello in spirito - questo legame è rilevante. Tanto che la naturale ispirazione a cantare è anche volontà di decantare idee, passioni e tensioni. Sottoponendole, da una parte, a giudizio morale - perché Tasso vuole essere poeta dell'ortodossia cattolica -, dall'altra traducendole nella tessitura letteraria. All'insegna di un'alta immagine di sé, dove cova, però, l'inquietudine: il poeta è gravato da contraddizioni, tormenti, ossessioni; è un uomo nobile che sdegna la cortigianeria e difende a spada tratta la propria dignità, e tuttavia ha un carattere instabile, di tutto e di tutti diffida, ma ha "bisogno" di sentirsi apprezzato, vuole la stima degli altri, ed è lui stesso a chiedere giudizi sulla propria opera a letterati, censori e inquisitori. Magari, in seguito, soffrendone: perché mania di persecuzione e tetra malinconia sono sempre lì a minacciarlo, ed è noto che gli ultimi quindici anni di vita del poeta, pure operosi, furono segnati da una profonda alterazione psichica. La "notte" di Torquato Tasso, il suo "destino". Anche questo "destino" entra nella "Gerusalemme liberata"? Diremmo di sì: ed oggi la critica guarda con particolare attenzione alla "complessità" dell'autore. Che è poi la forza dell'innovatore, del poeta che apre la mente e il linguaggio a tutti gli aspetti della realtà. Non così parve a De Sanctis che, cavalcando "lancia in resta" contro la Riforma cattolica e quello che gli appariva il vuoto etico, civile e spirituale della cultura barocca (anche questa, da qualche tempo, oggetto di rivalutazione), non poteva risparmiare il Tasso. Né il suo fervore religioso. Leggiamo nella "Storia della letteratura italiana: "Se in Italia ci fosse stato un serio movimento e rinnovamento religioso, la Gerusalemme sarebbe stato il poema di questo nuovo mondo (...). Ma il movimento era superficiale e formale, prodotto da interessi e sentimenti politici più che da sincere convinzioni. E tale si rivela nella 'Gerusalemme liberata'. Il Tasso non era un pensatore originale, né gittò mai uno sguardo libero su' formidabili problemi della vita (...). La sua religione è un fatto esteriore al suo spirito, un complesso di dottrine da credere e non da esaminare, e un complesso di forme da osservare (...). Che cosa è dunque la religione nella 'Gerusalemme'? E' una religione alla italiana, dogmatica, storica e formale: ci è la lettera, non ci è lo spirito. I suoi cristiani credono, si confessano, pregano, fanno processioni: questa è la vernice; qual è il fondo? E' un mondo cavalleresco, fantastico, romanzesco e voluttuoso, che sente la messa e si fa la croce". Ma è così? Noi crediamo, piuttosto, che la "Gerusalemme" sia un'ampia, universale "rappresentazione" dell'umanità. Dove si colgono/raccolgono le aspirazioni eroiche, i valori, la dignità, lo slancio missionario, il sacrificio, insomma tutti i codici di comportamento morale che sono la sostanza dell'"ideologia" tassiana. Trovando incarnazione nel "capitano" Goffredo di Buglione, "che 'l gran sepolcro liberò di Cristo", e impegnando il poeta a scrivere con uno stile "magnifico e sublime", all'altezza della materia trattata; ma anche con la percezione che il male c'è, opera, consegue i suoi frutti, e anche i cuori virtuosi possono conoscere furori, traviamenti e sbandamenti. E d'altra parte l'amore può sbocciare, incredibile quasi, in figure negative come la maga Armida. La spietata ammaliatrice che con le sue arti demoniache soggioga e si trascina dietro fior di cavalieri, rendendoli immemori dei loro doveri, e che poi è travolta dall'amore per Rinaldo, al punto di creare una meravigliosa isola per viverci insieme a lui. Ma se quello di Rinaldo è, "deve" essere, il destino del difensore della fede, ecco che Armida sarà insieme al suo uomo. Come comandano Amor Sacro e Amor Profano.