La Malfa, il galantuomo tra destra e sinistra

Allapolitica Ugo La Malfa era approdato giovanissimo. Probabilmente fin dal 1926, fra i liberali di Giovanni Amendola. Caduto il fascismo, aveva cercato senza successo di riconoscersi nell'azionismo; aveva scelto De Gasperi per ragioni interne ed internazionali. Le si ritrovano nel suo bellissimo discorso alla Camera il 14 marzo del 1949, al momento di votare per l'adesione dell'Italia all'Alleanza Atlantica. Trent'anni dopo non gli fu possibile votare per gli euromissili. Morì, vicepresidente di un governo di piccola coalizione (DC, PSDI, PRI), forse stremato dal senso di responsabilità col quale nelle settimane precedenti aveva vissuto il dissolversi di quella grande coalizione, che proprio l'adesione dell'Italia al Sistema Monetario Europeo da lui fortemente voluta aveva messo in crisi alla fine del 1978. Di qui l'interesse del XXIII volume degli Annali della Fondazione Ugo La Malfa, che contiene le pagine del diario inedito di Oddo Biasini sui giorni che vanno dal 20 febbraio al 31 marzo del 1979, con un saggio di Giorgio La Malfa incentrato proprio sulle posizioni allora dei partiti in politica estera. Insomma, la discussione storiografica su Ugo La Malfa si allarga agli orizzonti internazionali dai quali, in nessun momento, il suo pragmatismo si era illuso di poter prescindere. Tanto meno da presidente del consiglio incaricato. La pressione sovietica sul PCI in quel periodo era intensissima e niente affatto limitata al tema dell'eurocomunismo, sostiene Giorgio La Malfa. Senza che il tema dei rapporti Est-Ovest emergesse esplicitamente, non sfuggiva a Biasini quanto esso pesasse nei colloqui fra Ugo La Malfa ed il PCI. Nel libro di Salvo Pons, Berlinguer e la fine del comunismo (Torino, 2006), del resto, si nota come, quando il PCI avrebbe votato contro l'installazione degli euromissili, l'URSS ne avrebbe appoggiato la posizione. Il che, a guardare indietro, dimostra quanto esigui fossero i margini del "tentativo La Malfa". La vicenda che verrà oggi ricostruita, alla presenza del Presidente del Senato della Repubblica, presenta però pure un altro profilo: quello del "peccato di ottimismo" (l'espressione risale a Lucio Colletti), nel valutare la maturazione in senso democratico occidentale del PCI e nel giudicare la qualità e il livello della stessa classe politica comunista, in cui La Malfa sarebbe incappato. La verità è che quel peccato non esiste. Ed i diari di Biasini sull'ultimo La Malfa ne sono testimonianza affidabile (non meno degli appunti di Andrea Manzella sul penultimo La Malfa). Nel '79 invece dell'ambizione di diventare presidente del consiglio, La Malfa ebbe la preoccupazione, la stessa del 1949, che l'Italia si atteggiasse a neutralista. Il che lo contrappose al PCI. Per lui l'atteggiamento neutralista conteneva sfiducia nei principi della democrazia occidentale. Mazziniano al modo di Omodeo, si era sentito degasperiano impenitente (più che berlingueriano pentito) ed aveva presidiato le irrinunciabili ragioni dell'atlantismo: quelle che già nel 1945 aveva anticipato, in polemica con Togliatti, sulla "sorte della Germania vinta."