Il liberismo economico può avere un volto umano

In economia, le parole, le frasi contano, ci avverte De Lucia Lumeno, precisando che ancora più contano i concetti chiari, perché talune parole ed espressioni possono suscitare idee imprecise o addirittura false. Nei saggi che compongono questo volumetto di 57 pagine, con «Le radici profonde non gelano» (Edizioni Edicred), e in appendice «Il cane è veramente morto?», e infine «Tocqueville e la dittatura della democrazia», l'autore si preoccupa di ristabilire, appunto, la verità dei termini e dei concetti, contro i luoghi comuni e le mezze verità. I valori che De Lucia pone al centro di tutto sono la dignità del lavoro, il bene comune, la solidarietà e la cooperazione non solo nell'ambito nazionale ma anche internazionale. La visione profondamente cristiana del mondo del lavoro e dei suoi attori che anima l'autore potrebbe far pensare, per un momento, che questi saggi siano destinati a rimanere nell'ambito delle buone intenzioni, di fronte alle quali l'economia non può che continuare il suo trionfante avanzare, noncurante di queste preoccupazioni «morali» esulanti dalla sfera del reale. Ma la tremenda crisi che ha appena colpito l'economia mondiale, e che ha avuto la sua causa scatenante nell'abuso di sempre nuovi strumenti finanziari, mostra la profondità delle intuizioni dell'autore e la pertinenza della sue forti critiche ai «ciechi automatismi del mercato». De Lucia Lumeno respinge con forza l'idea che l'economia sia da considerare moralmente autonoma e che debba essere giudicata solo in base al suo grado di efficienza, ossia in funzione del profitto, senza considerazione alcuna per i fini da attuare a vantaggio degli uomini, ossia senza che ci si preoccupi della «giustizia sociale». Il vero e proprio tsunami economico verificatosi su scala mondiale, e che è tuttora in atto (l'analisi di De Lucia Lumeno, avvenuta anteriormente a questi avvenimenti, sembra profeticamente anticipare questa crisi) è una conseguenza dell'espansione esponenziale del credito, ma anche della disumana concezione finanziaria dominante secondo la quale il mercato da solo sarebbe capace di autoregolarsi, senza interventi dall'alto, trovando sempre un suo equilibrio. «La libertà economica va preservata, in quanto aspetto della libertà umana», ci dice l'autore, avvertendoci però che la legge del profitto e «il libero operare delle forze di mercato», se privi di controlli e di regole, non possono che provocare gravi distorsioni, aggravando le ingiustizie sociali sia sul piano interno che internazionale. Il «laissez faire» non può che condurre ad abusi, evidenti oggi anche nell'ambito della decantata globalizzazione. Ma è poi una vera globalizzazione? «Si parla di globalizzazione ma il mondo si fa sempre più frammentato», ammonisce l'autore. Il sistema finanziario attuale, con sistemi di credito e di risparmio che restano però preclusi ad una buona fetta dell'umanità, impedisce un'autentica globalizzazione, che tocchi «tutti gli abitanti del pianeta». Oggi invece le economie tradizionali di molti Paesi poveri si disfanno, senza che siano sostituite da una nuova economia locale. Gli squilibri e le disparità tra Paesi rischiano d'aumentare invece di diminuire. Occorre quindi che i governi intervengano per disciplinare le forze cieche di un'economia che è concepita, in un certo sistema capitalista, come «fondamentalmente distinta dall'etica», quasi fosse un meccanismo fine a se stesso. Al centro di tutto, invece, deve essere posta la persona umana. L'economia deve essere posta al servizio dell'uomo, o per riprendere le chiare parole di Giovanni Paolo II, in «Centesimus annus»: «Non c'è vera soluzione della questione sociale al di fuori del Vangelo».