Julia Franck si racconta in un best seller

A confermarcelo c'è ora un libro «La strega di mezzogiorno» (Ed. Le Lettere) della scrittrice tedesca Julia Franck che in patria è stato ha venduto più di 500.000 copie aggiudicandosi il Deutscher Buchpreis, il «Pulitzer» tedesco. Un affresco famigliare focalizzato su alcune figure femminili, sconvolgenti, intense. La trama si svolge dalla prima guerra mondiale alla metà degli anni '60. Il primo incontro con la protagonista Hélene (di madre ebrea) è collocato nell'estate del 1945 a Stettino, città tedesca diventata polacca. Hélene, infermiera, deve lasciare la città e con il figlio Peter, 8 anni, va alla stazione per prendere il treno che li riporterà a Berlino. Nella calca di sfollati Hélene abbandona il figlio e scompare, per sempre. A questo punto il compito della Franck è trovare una spiegazione al gesto, andando a ritroso nella vita della donna. Sullo sfondo il trentennio più cruciale della storia della Germania (dal primo dopoguerra all'avvento del nazismo e poi alla guerra) osservato quasi di sbieco da un'Helene distratta. Una quotidianità angosciosa che diventa l'emblema di tutto il popolo tedesco che non ha saputo o voluto vedere. Signora Franck è d'accordo? «Non credo che la Storia nel mio libro non risulti in primo piano. Hélene è comunque condizionata dagli eventi storici. La morte del padre, durante la prima guerra mondiale, è causata dal fatto che all'epoca non c'erano antibiotici. Hélene non può frequentare l'università perché proviene da una famiglia piccoloborghese. Il fatto che tuttavia apprenda un mestiere che negli a venire le garantirà indipendenza dai genitori e il marito, è dovuto allo sviluppo della professione di infermiera, una delle poche chances per le donne di allora. Deve tuttavia nascondere la sua vera identità: una "mezzosangue" sotto il nazismo non avrebbe futuro, per questo deve sposarsi... Non le riesce tirare fuori la madre dal manicomio. E capisce che la madre non è fuori di testa. Il fatto è che l'hanno sottoposta ad una sterilizzazione forzata nel quadro del programma di eutanasia ideato dai nazionalsocialisti». Ci sono riferimenti autobiografici? «Mio padre, figlio di un'infermiera di Stettino e nato nel 1937, è stato abbandonato nel 1945 su un binario». Anche lei ha attraversato un momento cruciale nella Storia: la caduta del Muro, la fine della Ddr,la riunificazione...Che cosa ha rappresentato per lei questa svolta epocale? «Le rispondo facendo riferimento al mio precedente romanzo. "Il muro intorno" è dedicato alle difficoltà rappresentate dal passaggio da una cultura all'altra. La storia è raccontata da quattro diversi punti di vista e nel caleidoscopio di queste voci si dispiega lo spazio critico nel quale io situo, per il singolo individuo, la situazione politica e anche la fase della riunificazione. Nel romanzo il muro c'è ancora, ma gli esseri umani che popolano la narrazione superano il confine in modo individuale per i motivi più disparati e con le più diverse speranze e conseguenze». Oggi Berlino è considerata una delle città più stimolanti dal punto di vista culturale d'Europa. «Quando si è nati in una determinata città e vi si è trascorsa la gran parte della propria vita è molto difficile vederla con occhio straniero. Penso che la città in sé non mi abbia ispirato. Il luogo della scrittura per me è alla fine abbastanza privo di significato. I romanzi nascono da un mondo interiore. Penso che Berlino - sempre che in quella città uno non vi sia nato - risulti attraente per gli artisti, in quanto si può vivere con pochi soldi. Gli affitti e il tenore di vita sono piuttosto convenienti, nessuno arriccia il naso sull'abbigliamento e sulla bicicletta degli altri. Si può vivere a Berlino in modo molto modesto senza avere l'impressione di essere "poveri" rispetto agli altri. La cosa ha probabilmente a che vedere con la generale povertà materiale della città».