La violenza è un tema cruciale per quanti riflettono ...

Basta leggere l'ultimo volume di Slavoj ?i?ek (La violenza invisibile, edito da Rizzoli e in vendita a 12 euro) per toccare con mano quanto la cultura europea continui ad essere preda di un pensiero irresponsabile. In due parole, la tesi centrale di ?i?ek è che la brutalità del terrorismo o quella delle guerre sarebbero ben poco cosa se paragonata alla violenza ben più terribile e distruttiva che si svilupperebbe nelle relazioni di mercato. Insomma, se io accetto di curare il giardino del mio vicino di casa in cambio di una cifra che entrambi giudichiamo conveniente, quello che ha luogo non soltanto è un rapporto di sfruttamento (secondo la vecchia lezione marxiana), ma è perfino l'espressione di una barbarie che non ha eguali. Lo studioso sloveno è significativo non tanto per ciò che dice (molte sono banalità, e c'è da chiedersi come editori di una certa tradizione possano includere tali volumi nelle loro collane), ma soprattutto per ciò che rappresenta. In fondo, egli incarna una contestazione perenne che ha largo spazio nel cinema e nelle altre arti. Si tratta però di un "non pensiero" nutrito di decadentismo, che se flirta pure con il sociologismo più dozzinale è perché non vuole farsi carico della responsabilità delle proprie parole, ma cerca il consenso del demi-monde intellettuale. Come se suonare divinamente il pianoforte, come sa fare Maurizio Pollini, lo possa rendere un intellettuale di riferimento quando considera un grave rischio l'aumento del Pil (non ha da temere, comunque, dato che per il 2008 in Italia di sviluppo non ne conoscerà proprio…). Il veleno dell'ideologia non si limita a produrre analisi sgangherate e a formulare atti d'accusa contro i diritti dei singoli: a partire dalla libertà di intraprendere, scambiare, negoziare. Esso copre anche la violenza effettiva di chi ha usato il fucile per uccidere innocenti. È questo il tema centrale di un volumetto che certo non ha le ambizioni del testo scritto dal filosofo slavo, ma contiene molta più verità: si tratta dell'indagine giornalistica che Leonardo Facco ha realizzato per mettere in luce il vero volto di una delle icone del Novecento, Ernesto "Che" Guevara (C'era una volta il Che. Ernesto Guevara, tutta un'altra storia, edito da Simonelli, 12 euro). Militante dell'antistatalismo e responsabile del Movimento libertario, editore e giornalista, Facco ha un'antica consuetudine con l'America latina, in cui la sua famiglia è emigrata molti anni fa. Se ha scritto questo libro-inchiesta, allora, è perché ha voluto esaminare da vicino quello che viene venduto come un eroe senza macchia e che è in realtà soprattutto un feroce criminale. In ?i?ek si può leggere che «nel capitalismo globale l'astrazione diventa realtà». Ma in verità poche vicende come quella del Che (ancor più di quanto sia successo con Lenin e Mao) hanno mostrato una fasulla immagine romantica, quale troneggia sulle T-shirt dei giovani di mezzo mondo, prendere il sopravvento sulla dura realtà di chi dal gennaio al giugno 1959 si è reso responsabile della fucilazione di centinaia di prigionieri detenuti nel carcere de La Cabaña. In una lettera egli stesso ha scritto: «Le fucilazioni sono non solo una necessità del popolo di Cuba, ma anche un'imposizione di questo popolo». La tesi è curiosa. Guevera non si accontenta di essere il braccio sanguinario di un regime illiberale. Egli pretende pure d'interpretare tale ruolo a nome di altri, che presto dovranno pure patire le disastrose conseguenze delle scelte economiche illiberali (si legga, fame e miseria) di quello che diventerà il ministro dell'economia di Castro. Il libro di Facco è assai documentato e merita di essere letto da quanti vogliano capire chi è stato veramente il Che. Ma esso aiuta anche a comprendere come sia ancora forte l'incapacità a guardare la realtà per quella che è. Perché in fondo se fino a qualche tempo fa non era facile informarsi sui crimini di tale eroe di cartone, al contrario è ben noto cosa sia Cuba e come quel regime dittatoriale calpesti le più elementari libertà. Ma di quel regime, che ha concentrato un potere smisurato nelle mani della famiglia Castro, il guerrigliero argentino è stato uno dei fondatori. I giovani che indossano la maglietta con l'effige rivoluzionaria elaborata dal fotografo Alberto Korda possono quindi non essere informati sulla ferocia di cui il Che ha dato prova nel ruolo del boia, ma non possono ignorare che egli è stato un "utile idiota" al servizio del potere castrista. Perché questa loro connivenza con la menzogna? Forse per la stessa ragione che induce ?i?ek a ritenere che ci sia più violenza in una relazione commerciale che in una bomba che esplode. Sono ottenebrati dall'ideologia e vittime di cattivi pensieri che già tanto male hanno fatto agli uomini e altro rischiano di farne ancora.