Quanti affermano che la rinascita dell'Italia può aver luogo ...

In verità ci vuole ben altro. Però è verissimo che la scuola è cruciale, e non solo per dare un futuro economico meno incerto alle generazioni a venire. L'istruzione è fondamentale perché è al suo interno che si pongono le premesse della società a venire. Il sistema scolastico italiano è un "grande malato" e ha bisogno di riforme coraggiose, ma non si può pensare che le maggiori responsabilità siano da addebitare a questo o quel governo degli ultimi dieci anni. Le radici del disastro sono profonde e vanno riconosciute nel progetto post-risorgimentale di usare l'istruzione pubblica per dare al nuovo Regno d'Italia una società aderente ai suoi principi. La celeberrima espressione di Massimo D'Azeglio ("Abbiamo fatto l'Italia. Ora si tratta di fare gli italiani") esprime perfettamente quella volontà illiberale di utilizzare l'istruzione al fine di unire ciò che era diverso, costruendosi soldati ubbidienti e docili contribuenti. A metà Ottocento, la scuola italiana nasce come scuola di Stato con l'obiettivo di contrastare la prevalente cultura cattolica, e con l'idea di formare un popolo perfettamente integrato nelle istituzioni. Questo antefatto è indispensabile a comprendere come mai l'Italia sia oggi il paese europeo in cui maggiore è la disparità di trattamento tra quanti scelgono una scuola pubblica e quanti, invece, optano per una privata. Ma la (quasi totale) statizzazione del sistema scolastico ha prodotto un'istruzione "fuori mercato", in cui quanti superano un concorso per insegnare diventano di ruolo e quindi inamovibili, qualunque cosa facciano e non facciano. Per tale motivo è necessario dare più spazio al mercato, ascoltando - in particolare - la lezione che da anni impartiscono Dario Antiseri, Lorenzo Infantino e Antonio Martino, fautori di quel buono-scuola che permetterebbe a tutti di scegliere l'istituto che si preferisce, dato che ogni studente riceverebbe una sorta di assegno con il quale pagare la retta scolastica dove meglio ritiene. Se adottassimo tale modello obbligheremmo gli istituti scolastici ad operare al meglio al fine di attrarre gli studenti. È chiaro che tutto questo implica l'abolizione del valore legale del titolo di studio (già proposta da Luigi Einaudi), anche per evitare la sopravvivenza di quelle realtà che esistono solo per distribuire pezzi di carta. L'opposizione a tale riforme viene da più fronti. In primo luogo, c'è la resistenza corporativa da parte di quel milione circa di lavoratori dell'Istruzione che non vogliono entrare nella logica del merito. L'idea stessa che se la loro scuola funziona male essi possano perdere il posto di lavoro li terrorizza; e siccome gli insegnanti sono tanti e bene organizzati, tali interessi frenano ogni cambiamento: a tutto danno degli studenti. Ma non c'è solo questo. Come ho già detto, la scuola pubblica è l'arma più formidabile nelle mani di quanti continuano a "credere" nello Stato come in un'entità superiore e guardano ad esso come all'orizzonte ultimo della stessa nostra esistenza. Negli giorni scorsi lo stesso Gian Antonio Stella è sceso in campo contro ogni ipotesi di "balcanizzazione" della scuola, ovvero sia contro l'ipotesi del pluralismo scolastico, paventando un'Italia in cui i cattolici abbiano le loro scuole, gli atei le loro, gli islamici idem, e via dicendo. Il progetto è chiaro anche se non sempre esplicitato: lo Stato educatore ha il compito di sottrarre i bambini al controllo delle famiglie, evitando che le varie culture pongano ostacoli alla realizzazione di un cittadino italiano un po' standardizzato, ma innocuo. È curioso. È un po' come se Stella non fosse cresciuto nell'Italia del dopoguerra e quindi non sapesse che sono ben pochi, nel nostro Paese, che vogliono costruire ghetti per sé e per gli altri. (Mio padre, che studiò dai gesuiti alla fine degli Trenta, mi raccontava come nel suo liceo fossero ben presenti i ragazzi ebrei, che uscivano di classe durante le ore dedicate alla religione cattolica. Quella scuola non era un ghetto né per gli uni né per gli altri). Uniformata per ragioni ideologiche e per giunta controllata dai sindacati, la nostra scuola intanto declina. Ma non mancano segnali interessanti. In Lombardia, ad esempio, quanti scelgono una scuola privata ricevono un buono-scuola parziale, che copre un quarto del costo delle rette. Sommato all'assegno proveniente dallo Stato, questo buono permette di coprire circa il 40% del costo della scuola. Tutto questo è insufficiente, certo, ma può essere l'inizio per l'individuazione di modelli scolastici più aperti, competitivi, che obblighino le scuole a rispondere alle attese degli studenti e rispettino i principi e i valori che le famiglie hanno deciso di abbracciare nel loro percorso educativo.