L'ASSASSINIO DI JESSE JAMES, di Andrew Dominik, con Brad ...

E così è molto più giusto e pertinente dato che il film, opera seconda del regista neozelandese Andrew Dominik (qui però alla sua prima opera a Hollywood) ci racconta sì l'assassinio del più celebre bandito del West, il mitico Jesse James, ma dà spazi anche maggiori al "codardo" che l'ha ucciso, Robert Ford, appunto, di cui traccia la storia e la psicologia, sulle orme di un romanzo di Ron Hansen, in modo particolarmente approfondito. Lo schema narrativo è ampio, tanto che, sia pure con ordine e con una struttura narrativa lineare, si divide addirittura in due parti. Nella prima, il ventenne Robert Ford, ammirando Jesse James, lo avvicina per entrare nella sua banda, ma un colpo troppo modesto induce l'altro a ritirarsi in incognito nel nativo Missouri allontanando tutti i suoi. Nella seconda, mentre si delinea il profilo di James, non solo diverso dal personaggio alla Robin Hood che rubava ai ricchi per dare ai poveri, ma crudele e sospettoso di tutti fino alla paranoia, si comincia a far risaltare il mutamento dell'animo di Ford che, sollecitato per un verso da una taglia messa sul capo di James e dall'altro dalla brama di diventare famoso come il primo, sempre sulle prime pagine dei giornali, si preparava ad assassinarlo in un momento, in cui se lo trova di spalle (da qui il "codardo"). Non riuscendo però nel suo principale intento, quello della fama, perché finirà miseramente ucciso in un bar dove recitava per gli ubriaconi lì radunati uno spettacolino in cui si illudeva di dar lustro al suo gesto. Perpetuando invece la sua ignominia. Per la prima parte, all'aperto, Andrew Dominik si è rifatto ai modelli classici del western, gli assalti, le bande, nella seconda, soprattutto in interni, ha messo in piedi uno psicodramma in cui, a poco, con tensioni prima minine poi laceranti, si segue lo scontro tra James e Ford solo con accenti sospesi, momenti di ansia e di attesa trattenuti fino allo spasimo. In un clima via via sempre più angosciante, reso anche più torvo da immagini che, mettendo al bando sia il colore sia il bianco e nero, privilegiano delle sfumature seppia che rivestono d'incubi quasi ogni scena. Senza mai una pausa, senza mai diminuire la tensione, anche quando la dinamica è soprattutto interiore. I due protagonisti fedelmente la rispecchiano. Brad Pitt, a differenza di Tyrone Power e dei tanti che l'hanno preceduto nel personaggio, punta molto sulla paranoia, venandola sempre di un quasi diabolico anche se ovattato sarcasmo, Caney Affleck, fratello minore del più noto Ben, va anche più a fondo, passando, con equilibrio, dall'ammirazione all'ansia di uccidere "per la gloria". Un duetto di classe.