La Lollobrigida: «Sul set ho sofferto per una vita»

E quei seni che incantavano tutto il mondo. Cara Signora Lollobrigida - le dico - io non dimentico. Sorride la Gina Nazionale, e gli occhi incendiano ancora, e il fascino è intatto. Siamo nella Chiesa di Sant'Agostino a Pietrasanta, Versilia profonda. Qui, a due passi dal mare, a due passi dalle cave di marmo, hanno i loro atelier artisti come Mitorai, Botero, Cascella. E qui ha il suo atelier anche la scultrice Gina Lollobrigida, che ormai da anni gode di un grande prestigio internazionale e che ha ricevuto del sindaco, Massimo Mallegni, la cittadinanza onoraria. «Per aver contribuito a diffondere nel mondo la notorietà di Pietrasanta quale centro d'arte». Ci tiene alla sua fama di artista del marmo e del bronzo. E a quella conquistata come attrice? «E come farei a non essere grata al cinema? Anche se… io mica volevo fare l'attrice. No, la mia vocazione era un'altra. Mi ero iscritta al Liceo Artistico proprio per fare la scultrice». Insomma, quella cinematografica, benché lunga e gloriosa, è una parentesi… «Intendiamoci, non mi pento di nulla, non rimpiango nulla. Ma, ripeto, da ragazzina al cinema proprio non ci pensavo. È chiaro che- si era nel dopoguerra- non mi dispiaceva raggranellare qualche soldo, facendo la comparsa. Ma non sognavo davvero di diventare una star. E invece sul mio cammino incontro Vittorio De Sica. È un grande uomo di spettacolo e mi dice: il cinema è la tua strada. Io non sono per niente convinta. Inizialmente, comunque, faccio delle particine. Poi, in "Follie per l'opera" e nei "Pagliacci" sono la protagonista. Avevo chiesto una cifra altissima per interpretarli. Pensavo: mi diranno di no e così la farò subito finita col cinema. E invece mi dissero di sì». De Sica sarà il suo partner in «Pane, amore e fantasia» e «Pane, amore e gelosia». «Un grandissimo partner e un grande amico. Indimenticabile». Ci scommetto, però, che il trionfo della star non cancella il sogno dell'artista… «Proprio così. Ho un ricordo: nel 1955, sono all'apice della fama e trentacinque pittori e scultori mi "immortalano". Mentre poso per Manzù, penso: no, nel cinema non esprimo veramente tutta me stessa, bisogna che faccia qualche altra cosa». Ma la carriera va avanti per altri trent'anni… «Negli anni Novanta, quando comincio con la fotografia, mi accorgo di essere ad una svolta. Mi accorgo che in questa nuova "arte visiva" c'è una parte più ricca e più vera di me. Mi accorgo che quel che mi mancava nel cinema era la solitudine creativa. Sentivo di dover fare le cose con le mie mani e mettendoci dentro la mia anima. La fotografia fu un passaggio per maturare. Il "destino" era la scultura».