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Tanti cavalli di battaglia conditi con giochi di luce e grandi coreografie ispirate ai film di Kubrick

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Per il suo nuovo tour, che debutta questa sera ad Ancona, e transiterà il 16 e 17 febbraio al Palalottomatica di Roma, Tiziano Ferro ha scelto la strada del rischio: con quella voce da virtuoso pop, avrebbe potuto limitarsi a cantare in jeans e maglietta per le sue platee adoranti: il suo ultimo album «Nessuno è solo», su cui si incentra questo giro di concerti internazionali, ha venduto nel mondo un milione e mezzo di copie. E invece ha voluto una produzione sontuosa, «teatrale», precisa lui, dove al minimalismo degli arrangiamenti musicali si contrappone un articolato gioco di proiezioni che compaiono sui sipari di tulle, e movimenti coreografici che i quattro ballerini (gli strepitosi Max Bertolini, Emanuele Sciannamea, Ashen Ataljanc e Britta Olling) gli dispensano attorno, dietro la guida di Susanna Beltrami, un nome, spesso in cartellone con Albertazzi, Scaparro, Andrèe Ruth Shammah. L'effetto è gradevolmente spiazzante, almeno per gli standard nazionali. Spiega Ferro: «Ho chiesto il meglio della tecnologia, ma senza abusare. Noi artisti italiani non proviamo neanche a fare certe cose. O diamo quasi nulla o allestiamo dei baracconi. Una scelta kamikaze? Chissà. Ma mi stava a cuore entrare in scena per la via più difficile, mostrando fragilità, piuttosto che nascondermi dietro una potenza non genuina». Traduzione: lui ballicchia, intrattiene, domina il palco, ma quando usa la voce lo fa senza rete. Niente coristi o campionature elettroniche, né sovrapposizioni registrate. Dispiega canto e controcanto, perché «è venuto il momento di sfatare il preconcetto che il pop è musica leggera, va restituita dignità al genere, anche se non è rock o arte di protesta». Rivendica il minimalismo su cui ha impostato il lavoro in studio per l'ultimo cd, e lancia una stoccatina a Vasco Rossi: «Dice che è meglio pubblicare una canzone per volta su Internet? No, il disco è il disco, è figlio di un percorso lungo tre anni di vita, undici brani non separabili, non voglio abbandonarli uno al mese...». Non la manda a dire al Blasco, ma professa umiltà pensando a Baudo: «Se ufficializza l'invito a Sanremo ci vado di sicuro». Davanti a un maxischermo alto 6 metri e lungo 20, e dietro al proscenio di veli su cui si fissa il gioco visuale affronta una scaletta che privilegia «Nessuno è solo» ma non trascura, com'è ovvio, i suoi hits transcontinentali. Eppure la partenza è freudiana, buio totale, e lui declama il prologo sulla «paura» che è riportato nelle note del disco, poi finalmente la musica, e «Tarantola d'Africa» lo trova come immerso in una scatola di plexiglass dove mille occhi lo scrutano, indiscreti. Su «Baciano le donne» ecco il piccolo choc delle immagini di bocche femminili che si sigillano in una passione lesbica. E la suggestione visiva, di volta in volta, si farà ossessione, dolcezza, misteriosa malìa, psicanalisi, espressionismo. «L'Olimpiade» mixa scene di vita quotidiana e di sport violenti, «Salutandotiaffogo» trasforma il palco in un grande acquario virtuale che man mano si riempie; «Xverso» lo trova circondato dai ballerini travestiti da gang criminale kubrickiana, e l'omaggio al regista più visionario del Novecento torna anche, più avanti, in «Già ti guarda Alice», l'enigma della nascita che va dal sangue, all'ovulo fecondato, al feto, fino all'universo esplorato in volo siderale, con la Terra in lontananza. In «Bimbo dentro» Tiziano compare seduto su una (vera) poltrona, mentre dentro un televisore un bimbo scappa spaventato: l'ansia di crescere in un mondo ostile è una delle dominanti dello show. Si capisce anche in «E fuori è buio», dove una Luna minacciosa si trasforma in un orologio che batte il tempo metropolitano, o come in «Cielo», il pezzo che Ferro compose, enfant prodige, quando aveva sette anni. Ma spesso il concerto vira sull'autoironico, come in «E Raffaella è mia», quando sullo schermo i

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