«Vi racconto il mio amico Mastroianni»

L'iniziativa, promossa dall'Associazione Artisti Riuniti che ha eletto il protagonista de "La dolce vita" a simbolo della sua vocazione specifica di contaminare cinema e teatro, inaugura un'importante mostra fotografica, realizzata in collaborazione con la Cineteca di Bologna e il Museo Biblioteca dell'Attore di Genova, in cui si ricostruisce la carriera scenica di Mastroianni dagli esordi al periodo viscontiano, riscoprendo anche alcuni eventi dimenticati. Michalkov, che sta girando nel suo Paese il remake de "La parola ai giurati" dal titolo "Dodici", con ambientazione russa e processo condotto sull'omicidio di un ceceno, da presentare alla prossima Mostra del Cinema di Venezia, ricorderà la predilezione per Cechov dell'attore italiano scomparso recitando un brano di Astrov, mai interpretato prima e restituito in modo del tutto personale, e leggendo "Il tabacco fa male" come esempio del linguaggio dell'autore ucraino. Michalkov, cosa le piaceva di Mastroianni? «Era un uomo aperto e indifeso. Ritengo che nella storia del teatro e del cinema italiani Mastroianni e Gassman siano gli attori dotati del massimo diapason di possibilità artistiche. Mastroianni non temeva di apparire buffo, ridicolo, umiliato o brutto. A differenza di quanto accade in molti attori famosi, non c'era in lui coincidenza fra l'ego personale e l'essere un interprete. Sapeva accogliere con animo infantile ogni aspetto dell'umano. Il suo sviluppato senso di autoironia gli consentiva di sentirsi a proprio agio in ogni ambiente». Come è nata la vostra amicizia? «L'incontro fu combinato da Silvia d'Amico. Lui tornava dagli Stati Uniti e soffriva ancora per il cambio di fuso orario. Mi disse subito: "Sarò sincero: ho visto quattro tuoi film e ho dormito tutto il tempo, perciò non farmi domande. Silvia dice che sei un ottimo regista e una brava persona, quindi sono d'accordo a lavorare insieme". Adoravo i racconti della sua infanzia e avevamo in mente di fare un viaggio in treno in cui ognuno di noi avrebbe narrato all'altro le esperienze vissute da bambino. Credo che sarebbe diventato un film molto divertente. In tutte le storie che mi narrava trasparivano una straordinaria capacità d'osservazione e un autentico umorismo. Questa è la ragione per cui siamo stati tanto amici e vicini. Avevamo lunghe conversazioni telefoniche e non ci siamo resi conto che il tempo da condividere fosse così breve». In che modo ha lavorato con lui come regista? «Per me la formazione teatrale di un attore è la più importante. Quando devo girare un film provo a lungo come se si trattasse di uno spettacolo e poi giro con un approccio scenico in quanto ogni formula diversa di procedere è soggetta al caso. Gli attori che si leggono rapidamente il copione e credono di essere già pronti a girare possono ingannare gli altri, ma non me. Tendo sempre a tirare fuori dagli attori quello che hanno in nuce. Marcello sentiva subivo l'atmosfera che si creava, ci stava comodo ed entrava e usciva dal personaggio con una sua disinvoltura. Ho compreso la sua duttilità durante la preparazione di "Oci ciornie" perché prima per me era una star irraggiungibile». Perché ha scelto Cechov per celebrare Mastroianni? «Era un autore che Marcello apprezzava molto. Se posso utilizzare una metafora per me ricorda un sentiero appena visibile nell'erba che a volte si intuisce e a volte rimane nascosto. Quello che si trova fra le parole cechoviane è più denso di significato di quanto viene espresso dal testo. Per questo è difficile da tradurre e da recitare fuori dalla Russia: il vero messaggio non sta nelle battute che si dicono. La pausa, per esempio, non è una sospensione, ma una moltiplicazione delle energie e un simile concetto deve essere capito e applicato fino in fondo. La ricerca della musicalità dei rapport