L'opera torna a Milano dopo 21 anni Il tenore Roberto Alagna è Radames

Il tutto alla Scala poi sembra esaltarsi alla ennesima potenza giacchè noblesse oblige e quello progettato e realizzato dal Piermarini resta pur sempre il Teatro italiano più famoso nel mondo. Dopo stagioni in cui anche la rarità poteva fare notizia (si ricorderà L'Europa riconosciuta di Salieri voluta da Muti che si rivelò un un mezzo flop di pubblico) con la nuova direzione transalpina si è tornati a titoli di grande repertorio come il "Don Giovanni" mozartiano diretto dal giovane Daniel Harding lo scorso anno. Molti sono gli elementi che contribuiscono a fare di una "prima" inaugurale un vero evento. Innanzitutto c'è il titolo, poi la notorietà del direttore o magari l'estro di un regista al di sopra di ogni sospetto, per non dire degli interpreti. La Scala così punta stasera, per il consueto spettacolo inaugurale di S. Ambrogio, su un'opera di grande gradimento come l'"Aida" di Verdi, autore così caro al pubblico meneghino. Il bussetano ebbe sempre un rapporto privilegiato, anche se talvolta difficile, con la Milano di Ricordi, Manzoni e della contessa Maffei. Molto diede a quel teatro e a quella città e molto ne ebbe. Ma l'"Aida" è opera grandiosa, quasi un postumo grand opéra. Opera di grandi architetture e scenografie, all'epoca disegnate dall'egittologo Henri Mariette, fondatore del Museo archeologico del Cairo, "Aida" colloca sentimenti intimi e profondi entro architetture gigantesche come quelle dell'Egitto di Ramses II. Ed il Museo Teatrale alla Scala sino al 14 gennaio ha in atto una mostra proprio su "Aida, l'invenzione del vero" (1871-1933) con la partitura autografa del musicista, documenti ed immagini d'epoca. A dare vita e volto sul palcoscenico alla storia della infelice schiava etiope e del suo impossibile amore per il generale egizio, non poteva darsi di meglio di Franco Zeffirelli, che firma un nuovo allestimento dell'opera. È la trentasettesima volta che l'opera di Verdi calca il palcoscenico della Scala, mentre Zeffirelli, che la realizzò per la prima volta nel 1963, è alla sua quinta "Aida" scaligera. Un evento dunque, anzi forse il primo grande evento milanese del dopo Muti alla Scala, anche perchè l'opera mancava al Piermarini dal 1985 (la regia era di Ronconi). Dopo l'edizione mignon concepita da Zeffirelli per il palcoscenico bonzai di Busseto senza il trionfo in scena e con masse corali a ranghi ridotti quasi a sottolineare i momenti intimisti della partitura, quello che è stato definito l'ultimo dei grandi maestri della regia lirica tornerà quindi a cimentarsi con le dimensioni grandiose del dramma verdiano disegnato dal libretto di Ghislanzoni. Ma a dare lustro a questa inaugurazione c'è anche la presenza sul podio di Riccardo Chailly, che con Abbado e Muti forma ormai da tempo la terna dei magnifici tre italiani della bacchetta. Anche Chailly ha un rapporto privilegiato con Milano e con l'Orchestra Verdi da lui fondata. Accanto a lui ha voluto un cast di valore con la lituana Violeta Urmana e Roberto Alagna, uno dei tenori che vanno per la maggiore, in "Aida" e "Radames", mentre la gelosa Amneris sarà l'ungherese Ildiko Komlosi ed Amonasro Carlo Guelfi. Presenze astrali anche per gli esotici ballabili con la congiunzione interplanetaria tra due grandi stelle della danza d'arte come Luciana Savignano e il lanciatissimo Roberto Bolle per la coreografia di Vladimir Vassiliev. Milano, insomma, si riappropria della "sua" Aida, che dopo il Cairo debuttò in prima italiana proprio alla Scala l'8 febbraio 1872, e lo fa con una bacchetta milanese purosangue e con un regista che alla Scala è di casa da oltre cinquant'anni.