«Sono un attore con l'ambizione di vivere»

Gerard Depardieu, mostro sacro dei cinema francese, non fa eccezione alla regola, pur rivelandosi una volta di più un personaggio scomodo, controcorrente. Dice: «A volte affermano che sono un artista, ma in realtà non posseggo nessuna arte, solo la forza necessaria a portare una valigia, la capacità di aprirla se mi dicono di farlo. Io sono soltanto uno che prova piacere a vivere, il mio ruolo di attore si limita a tradurre sullo schermo l'emozione delle cose quotidiane». Insomma un attore con la sola ambizione di vivere. «Non proprio, ho avuto anche delle ambizioni di attore ma la voglia, il mio appetito di vivere è sempre stato più forte. Sono uno che guarda al mistero della vita senza desiderare di sciogliere l'enigma, tanto appassionante è il fatto che questo mistero esista». Lei è un uomo pieno di energia. Dove la trova? «Nel dire sempre come la penso, nel non farmi imbrogliare dai miti, nel vivere ad occhi aperti. Questa è la mia grande ragione di vita». E il cinema? «È anch'esso una immensa fonte di energia. Ma attenzione, io intendo il cinema di Truffaut, Chabrol, John Ford, Kurosawa, coloro che dicono qualcosa di nuovo ogni volta che vedi lo stesso film. Prendiamo Chabrol, è uno che ha diretto 56 film e tutti parlano delle stesse cose ma non ce n'è uno che assomigli all'altro! Non c'è antenna televisiva che gli stia alla pari». La televisione le mette in collera? «Affatto, in genere io provo delle emozioni, non delle collere. Provare dei sentimenti di collera è come entrare a far parte del sistema. Si sbotta e tutto finisce lì. L'emozione è qualcosa che dura di più. Quanto alla televisione...». Già, parliamo della televisione. «La televisione? Ebbene, lei sa qual è il tempo di memoria di un pesce rosso? Un secondo appena. È quello che succede con la televisione dove ogni cosa è fatta per essere rapidamente dimenticata. Sei a tavola e il notiziario delle 20 ti presenta un massacro a Bagdad, con decine di morti e di feriti. Tu guardi a continui a mangiare, tanto nel giro di pochi secondi quelle immagini spariscono dallo schermo. E questo disabitua la gente a riflettere, non ha più il tempo, né la voglia o la capacità per apprezzare un film, nemmeno il migliore che sia uscito nelle sale. È questa la ragione prima dell'insuccesso di tanti film. È questo il motivo per cui certi film non si fanno nemmeno più. Io pensavo a un film sulla fine di Rimbaud, c'era tutto, una splendida sceneggiatura, un cast di attori eccezionale a dir poco. E sa che cosa mi ha risposto un produttore? È arrivato a dire: "Non si può avere successo raccontando un'agonia". Qui ci vedo lo zampino della televisione, quella che rincorre l'audience, il denaro». Comunque non tutti i suoi film hanno avuto successo... «E che significa? Erano dei film magnifici! E poi qual è il film di successo? Un pasticcio tipo: "I pirati dei Caraibi"? Me lo dica lei». Veniamo al film che sta terminando di girare, «Quand j'etais chanteur» (Quando ero un cantante ndr), per la regia di Xavier Giannoli, dove lei, sostengono quelli che sono stati sul set, ha ritrovato tutto il suo talento. Un film fatto di piccole cose, uomini e donne fuori dal tempo. «È vero ma quando si guarda a cos'è diventato il mondo del presente ci si rende conto che la realtà del passato è la sola ancora di salvezza che ci rimane». Dicono che la sceneggiatura sia stata scritta da Xavier Giannoli apposta per lei. «Forse, del resto quello che conta in un film non è solo la sceneggiatura o l'attore principale, è l'intesa di gruppo, attori e tecnici, che fa la forza di una pellicola». Possiamo dire allora che tutto funziona al meglio? «E chi lo dice? Giannoli ha un carattere irritabile, ma questo mi piace, è irritabile perché cerca la verità. È irritabile come lo sono i poeti,