Torna la «Didone» che piaceva a Farinelli

Merito della direzione artistica sempre illuminata di Michelangelo Zurletti, ma anche di uno staff artistico efficiente e professionale, di cui fa parte tra gli altri il regista Lucio Gabriele Dolcini. Dopo la apprezzata Cleopatra di Cimarosa dello scorso anno, è ancora (oggi e domani ultime repliche) una eroina femminile a tener campo sul palcoscenico del settecentesco Teatro Caio Melisso di Spoleto. Anzi, dovremmo dire la eroina barocca per eccellenza, visto che sia prima della celebrata versione metastasiana (vedi Purcell e Cavalli) sia sull'esemplare libretto di Pietro Trapassi, poeta cesareo a Vienna, il melodioso Settecento italiano registrò innumerevoli lamenti della bella ma sfortunata Didone, regina virgiliana. Le alterne vicende della nobile cartaginese, i tormentati amori con Enea destinato a futuri destini sul suolo italico, erano anzi quasi esemplari del libretto metastasiano e dell'opera seria barocca, divisa tra erotismo ed eroismo, tra foga amorosa e dovere eroico. Quasi una novantina le versioni musicali dello stesso libretto metastasiano tra cui questa «Didone abbandonata» (1743) di Baldassarre Galuppi (di cui ricorre il terzo centenario della nascita), opera che raggiunse tra l'altro Pietroburgo e Madrid (per volere di un sovrintendente artistico illustre come Farinelli). L'opera, in prima esecuzione moderna, gode delle cure registiche di Dolcini e quelle musicali di uno specialista galuppiano come Franco Piva che si avvale di un cast giovane ma valente con in evidenza la russa Alla Gof e Stefania Grasso ad alternarsi nel ruolo della regina, Federica Giansanti in quelli di Enea e tra gli altri André Caré in quelli di Jarba re dei mori. «È un'opera avara di magnificenze e stupori settecenteschi - sostiene il regista - donde l'esigenza di costruire lo spettacolo soprattutto attraverso la recitazione. Questa messinscena guarda al Settecento sia nella gestualità che nei costumi».