L'Inghilterra voleva utilizzare il corpo scelto della Rsi contro Tito in funzione antisovietica

Forse perché taluni fatti vengono ancora giudicati in base ad una pregiudiziale ideologica e dunque di parte. Dal libro di Sergio Nesi, ufficiale di Marina e operatore dei mezzi d'assalto («Junio Valerio Borghese», editrice Lo Scarabeo, 710 pagine, 37 euro) si apprende un particolare sorprendente, tanto più che Nesi potè consultare l'agenda del comandante della Decima Mas. A Montecolino, sul lago d'Iseo, si tenne il 16 novembre 1944 un convegno — del quale fu ispiratore lo stesso Winston Churchill — tra rappresentanti della Repubblica Sociale Italiana, ufficiali tedeschi ed emissari inglesi e americani, non soltanto per accertare la possibilità di un cessate il fuoco in Italia, ma anche nella prospettiva di un rovesciamento di fronte, per contenere l'avanzata sovietica nell'Europa centro-meridionale. La consorte di Junio Valerio Borghese, Daria Olsoufieff, poliglotta in cinque lingue, fece per l'occasione da interprete. Ipotesi inverosimile quella che ispirò il convegno di Montecolino? Non proprio, se si pensa che Churchill, in seguito, arrivò a prendere in considerazione di non disarmare alcuni corpi d'armata tedeschi, sempre in funzione antisovietica. Quanto a Sergio Nesi, il giorno prima del segretissimo incontro di Montecolino, venne convocato da Borghese ad Albisola, per un esame dettagliato della situazione nella Venezia Giulia e nel Friuli, zone direttamente minacciate dal IX Corpus di Tito, che la Decima avrebbe dovuto contrastare con estrema determinazione, concentrando tutti i battaglioni che si erano formati, richiamandoli da altri settori. Il generale americano Omar Bradley confessava candidamente in quel periodo: «Come soldati noi guardavamo stupiti gli inglesi che stavano concludendo la guerra con preoccupazioni di carattere politico e obiettivi non militari». È vero che gli americani avevano in Allan Dulles, numero uno dell'Oss — Office of Strategic Services, progenitore della Cia — una corda sensibile; ma l'assetto postbellico in Europa non rappresentava certo un cruccio per i nipoti dello Zio Sam, a differenza dei cugini inglesi. Per antica tradizione, che risaliva almeno alle guerre del XVIII secolo, il Foreign Office e la stessa Corte di San Giacomo tenevano d'occhio, nel continente europeo, alcune zone nevralgiche. Non soltanto l'attuale costa del Belgio (antemurale naturale della Manica, toccando il quale scattava l'allarme a Londra: di qui la sfida, volta a volta, a Luigi XIV, Napoleone, il Kaiser, Hitler), ma anche a Savoia, l'Alto Adige, la Venezia Giulia. Questo spiega la preoccupazione di Churchill perché le milizie di Tito (ancora allineato sulle posizioni di Stalin) non dilagassero da Trieste, Gorizia e Udine in tutta la pianura friulana. Almeno in questo, erano in molti a condividere queste preoccupazioni, comprendo il comandante della Decima Mas, che si avvaleva di una autonomia senza precedenti. Non si capirebbe molto della personalità del «principe nero», se non si risalisse al momento dell'armistizio e subito dopo. Perché le date, in questa vicenda, hanno un significato ben preciso. Il 12 settembre 1943, i tedeschi liberarono Mussolini, tenuto prigioniero sul Gran Sasso; il 14 settembre (la Rsi era di là da venire) Borghese, rifiutando l'armistizio, stipulò un regolare trattato di alleanza tra la Decima e il Grande Reich. Cosa che fece rabbrividire, anche dalle parti di Salò, i custodi della ortodossia militare, sempre rigidamente centralizzata e arroccata nei pletorici Stati Maggiori, ma che rientrava nel costume germanico e nella tradizione dei "Corpi franchi", che avevano dato vita alla Reichswehr, dopo il 1918. Forse per questo i tedeschi considerarono, da allora in poi, la Decima Mas come unica, solida e credibile forza armata della Rsi. Oltretutto, i rapporti tra Borghese e le autorità politiche e militari di Salò non furono affatto idilliaci, se si arrivò ad arrestarlo nell'anticamera di Mu