di ALMA DADDARIO Si potrebbe definire una «protagonista per nascita»: per l'aspetto elegante e il carisma ...

Fondatrice negli anni Cinquanta della mitica «Compagnia dei giovani», con il regista Giorgio de Lullo e gli attori: Romolo Valli, Anna Maria Guarnieri, Rina Morelli, Tino Buazzelli, Elsa Albani. Ma soprattutto interprete di personaggi forti e contrastanti, in testi classici ma anche contemporanei, da Tennesse Williams a David Hare, da Pirandello a Diego Fabbri, che per lei scrisse «La bugiarda», fino a Giuseppe Patroni Griffi, con il quale ha condiviso la passione per il teatro e una grande storia d'amore. Poche le sue interpretazioni cinematografiche, ma sempre con grandi maestri: è stata diretta da Federico Fellini in «Otto e mezzo», da Robert Aldrich in «Quando muore una stella», Joseph Losey in «Modesty Blaise, la bellissima che uccide», Nanny Loy in «Made in Italy» e Dario Argento in «Non ho sonno». Tra le attività che la impegnano in questo periodo, per Rossella Falk c'è l'insegnamento all'Accademia Silvio d'Amico, che già la vide come allieva, anche se quasi per caso, come la stessa attrice racconta. In quale occasione ha capito che voleva fare l'attrice? «In realtà da ragazza avrei voluto fare la tennista. Non avevo ancora vent'anni quando ho incontrato per la strada Giorgio de Lullo, che già si occupava di regia. Era un gran bel ragazzo, e cercò di attaccare discorso. Mi disse: "Perché non ti iscrivi all'Accademia d'Arte Drammatica?", mi chiese e io gli domandai per quale ragione avrei dovuto farlo. E de Lullo, serafico, con il suo accento romanesco rispose: "Perchè all'Accademia so' tutte racchie, e tu sei 'na bella ragazza". Questa risposta mi divertì molto. Da allora, decisi di provare: per sfida. Passai la selezione, che a quei tempi era molto severa, e vinsi addirittura una borsa di studio». Cosa ricorda con piacere, tra sue prime esperienze teatrali? «Soprattutto l'avventura con "La compagnia dei giovani", durata vent'anni. È stato un percorso di crescita comune, un rapporto umano, oltre che professionale. Con de Lullo, Romolo Valli, Anna Maria, Tino, Rina Morelli, e gli altri che ci hanno seguito, eravamo diventati come una famiglia allargata. Poi, si è unito a noi Giuseppe Patroni Griffi, che ha dato una svolta alla nostra esperienza. È importante avere un autore che affianchi un attore». Patroni Griffi ha scritto molto per lei. «Sì, è vero, da "Metti una sera a cena" a "Anima nera": le protagoniste erano una sorta di emanazione di me». Tra lei e Patroni Griffi c'era una bella intesa professionale, l'intesa era forte anche in privato? « Il nostro era un rapporto di amore profondo e di complicità. Nessuno come lui mi ha capita: mi mancherà sempre. Peppino era un vero scrittore di teatro: assisteva paziente a tutte le prove, era attento ai suggerimenti degli attori. Una grande lezione di umiltà: chi scrive per il teatro non dovrebbe farlo a tavolino, come invece faceva Alberto Moravia e tanti altri». Cosa ricorda, in particolare, di Alberto Moravia? «Aveva la presunzione di voler scrivere per il teatro, oltre che per la narrativa e per il cinema. Mi convinse a interpretare un suo testo, che fu rappresentato a Milano con la regia di Giorgio Streheler. Io accettai, ma fu un vero fiasco». Tra gli autori contemporanei, lei ha sempre privilegiato autori stranieri, perchè questa scelta? «È vero, eccetto però per Patroni Griffi e Diego Fabbri. Ma c'è una ragione: in Italia le istitituzioni non incoraggiano i nuovi autori: non c'è attenzione né mercato. Eppoi, dinanzi a testi di Tennesse Williams, di David Hare, di Noel Coward, come non essere tentati?». Oggi, c'è un continuo proliferare di personaggi dello spettacolo che si candidano per le elezioni politiche. Lei lo farebbe? «Mai: mi sembra una strumentalizzazione. Certi partiti pensano di ottenere più voti mettendo in lista qualche volto noto. Un politico che si rispetti deve avere una seria formazione, non può essere un uomo di spettacolo». Allora, è contraria anche a chi si candida come sindaco, come Dario Fo a Milano. «Non mi piace Dario Fo, e trovo