L'offesa di Eros travolge la Rai e la politica

La sua, una volta indossata la Croce di Commendatore, è stata una stecca irrimediabile. Dire: «Le istituzioni pensino di più alla discografia», ci sta. Aggiungere: «Non solo in campagna elettorale», è inammissibile, perché dietro la mano tesa a Gianni Letta non c'era Berlusconi, ma il Presidente della Repubblica. La nota ufficiale sulla delega al sottosegretario di Stato era stata diffusa il 21 febbraio scorso dal Quirinale, non da Palazzo Chigi o qualche sede di partito. Semmai è stato proprio Eros, paradossalmente, a farsi strumento di una parte, a entrare a gamba tesa, magari involontariamente, in una campagna politica. Ancora, fare il clown parlando del design dell'onorificenza significa - come chiunque può intuire - offendere gratuitamente un popolo intero. Quei titoli sono nati con la Repubblica. E per quel che vale, è stato proprio Ciampi, durante il suo settennato, a pretendere un restyling grafico di quelle medaglie, oggi più «arrotondate» di un tempo, e una più severa selezione per gli insigniti. Tra questi, cantanti come Mina, Dalla, Baglioni, Guccini. Nessuno di loro si è permesso di fare passerelle buffonesche con la Croce al collo (solo Benigni, ma lui è un giullare di professione), tutti si sono detti onorati di tanto, e al momento giusto, non con tardive rettifiche a mezzo stampa. Né vale sottolineare, come hanno fatto alcuni, che Ramazzotti si comporti spesso da Pierino, che insomma, dai, è solo un simpatico burlone nato ai bordi di periferia. Quando sale sul palco, ovunque nel mondo, Eros è un plausibile ambasciatore del made in Italy. Vende milioni di dischi, nei suoi concerti non scopri mai una provocazione fine a se stessa. Non è un punk, né Marilyn Manson. E inquietante è stata la sortita della Rai, che per voce del suo capo ufficio stampa Beppe Nava faceva sapere di aver consigliato ai cronisti dell'azienda pubblica di non citare, nei loro servizi, il passaggio in cui Ramazzotti dice a Letta: «Dove me la devo mettere la Croce?». Motivazione: è un'offesa alla massima istituzione dello Stato, meglio soprassedere. Però a scuola di giornalismo insegnano l'opposto. Qui l'errore è stato commesso a monte. Il direttore artistico di Sanremo, Gianmarco Mazzi, aveva studiato una strategia per «obbligare» i superospiti italiani a presentarsi sul palco dell'Ariston per illuminare la serata finale, senza rischiare pacchi dell'ultim'ora. L'unica fregatura glie l'aveva data - ma con ampio anticipo - proprio Zucchero, rimasto in Usa ufficialmente per completare le registrazioni del nuovo cd, in realtà incarognito per la mancata inclusione in gara di sua figlia Irene Fornaciari. Con il risultato lunare che tra i neocommendatori la figura migliore l'ha fatta lui, il Convitato di Pietra, in teoria il maledetto del gruppo. «Dio benedica il presidente Ciampi e tutti voi», ha chiosato il buon Adelmo. Così, l'imbarazzante consegna in sala stampa di targhe e titoli (che comunque non avevano per questo minor valore) ai magnifici tre si è trasformata in un boomerang per il comparto musicale italiano, proprio nel momento in cui cercava interlocutori politici per la gravosa questione dell'Iva sui dischi. Meglio sarebbe stato premiare Eros, Laura e Andrea nella Sala degli Specchi al Quirinale, per poi imbarcarli su un jet privato e portarli a Sanremo in tempo per le prove. Senza innescare speculazioni di sorta, né provocare un incidente diplomatico più deprimente di ogni gag di Panariello.