Masini: «Ora sono un vero cantautore»

È il questo il «j'accuse» di Marco Masini, che stasera all'Auditorium di Via della Conciliazione aprirà il suo tour teatrale italiano per presentare l'ultima fatica discografica, «Il Giardino delle Api», il primo senza il suo méntore di sempre, Giancarlo Bigazzi. Da Portoferraio, sull'Isola d'Elba, dove sta ultimando le prove del concerto, Masini rincara la dose contro il sistema musicale italiano. «Noi facciamo la migliore musica del mondo - continua - ma ormai le case discografiche in primis, le radio ed anche un po' i musicisti, si sono tutti adattati a questa tendenza anglo-americana dilagante, e non abbiamo più una identità. Chi non è protetto dalle major deve cavarsela da solo, perché il suo prodotto non raggiunge il grosso pubblico. Oggi facciamo canzoni per comunicare solo che siamo bravi come gli americani e gli inglesi». Cantore scomodo e ruvido del disagio giovanile nei primi anni '90, accusato di confezionare con furbizia canzonette di facile presa su un pubblico adolescenziale, sfruttando anche una buona vocazione al turpiloquio, Marco Masini è arrivato a quarantuno anni superando molti momenti difficili, compresa l'ostilità preconcetta del giornalismo musicale nazionale. Dopo l'inaspettato successo al Festival di Sanremo 2004 con «L'Uomo Volante», il cantautore toscano si è impegnato in un «neverdending» tour che riparte proprio oggi da Roma. Qualche anno fa hai avuto un duro confronto con Don Mazzi, che ti accusava di non proporre soluzioni al disagio che rappresentavi.. «Non davo risposte, ma non le davano neanche la Chiesa, né la politica, o la filosofia. Le risposte sono dentro di noi, e bisogna cercarle interpretando quello che dicono gli altri, ma non seguirli ciecamente. Le canzoni non danno vie d'uscita». Tu gli rispondesti che la differenza fra voi due è che tu non avevi ancora trovato un Dio in cui credere. Hai precorso la categoria degli atei-credenti, di cui molto si parla oggi? «Non è una questione di tendenza, riguarda il cambiamento. Quando si è giovani si crede a tutto, adesso credo solo a quello di cui sono convinto». Sei stato anche accusato di fare una canzone del dolore, in questo caso precorrendo la televisione.. «Ho precorso diversi linguaggi, anche se adesso i reality sono patetici e pieni di retorica, ed i parametri che si usano per musicare l'audience sono contraddittori. Negli anni '90 c'erano più ragioni per parlare del dolore. Adesso si guarda solo all'apparenza, ed i motivi del disagio sono diversi, più legati a parametri strettamente economici, ma non al bisogno vero e proprio. La felicità si raggiunge attraverso obiettivi diversi, più effimeri. Ci si dispera se non si ha un videofonino». Questo è il sintomo di una maggior fragilità? «Certo, le disillusioni sono molte di più. I ragazzi si affidano di più agli altri, ma sono molto più soli». Ricevi ancora migliaia di lettere? «Sì, ho uno zoccolo duro di fans. Il mio fan-club conta duemila iscritti». Cosa ne pensi di questo neo-perbenismo, della messa in discussione della legge per l'aborto? «È un discorso più sociale che politico. Tutti i pensieri sono come i pantaloni, vanno di moda stretti ma poi ritornano larghi. In Italia c'è una contraddizione costante fra quello che si vorrebbe fare e quello che si fa per ottenerlo. Ci mangiamo addosso le risposte. Chiunque governa attacca quello che ha governato prima o quello che governerà dopo. Dovremmo dar retta a Benigni e Troisi: "Diamoci una calmata tutti insieme, Savonarola". E anche noi cantanti dovremmo prenderci le nostre responsabilità, nel nostro piccolo. E, visto che siamo in tema, io penso che sia ipotizzabile che il Capo del Governo tuteli i propri interessi. Ma detesto la campagna denigratoria che c'è nei confronti di chi è su un trono, perchè la gente l'ha votato e fin quando non deciderà diversamente bisognerebbe smetterla». Hai detto che questo è il tuo primo vero album da cantautore. Perché? «È il primo in cui ho preso in mano composizione, produzione e realizzaz