La politica contro il patrimonio artistico

Questo impressionante grido d'allarme è lanciato da Salvatore Settis, Direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa, uno storico dell'arte di fama internazionale che sembra aver ricevuto in eredità la vis polemica e l'indignazione morale dell'indimenticabile Federico Zeri. Tutto ciò è ben evidente e documentato nel suo ultimo volume, «Battaglie senza eroi» pubblicato da Electa come una sorta di libro bianco sui pericoli che minacciano i nostri beni culturali. L'ultima fatica di Settis è stata appena presentata a Roma, in Palazzo Barberini, da Claudio Strinati, Soprintendente del Polo Museale Romano, da Gustavo Zagrebelski, già Presidente della Corte Costituzionale, dal giornalista Paolo Mauri e dallo stesso autore, in un dibattito ricco di spunti di riflessione. Settis ha voluto precisare fin dall'inizio che «la tutela del patrimonio artistico non è né di destra né di sinistra. Senza dubbio, in materia di beni culturali, i governi di ogni colore politico hanno fatto più cose negative che positive, con una continuità che definirei pericolosa. La nostra classe politica attuale rivela un deficit culturale che il nostro paese non merita». È stato così rilevato che nei fatti viene costantemente disatteso uno degli articoli più originali della nostra Costituzione, l'art. 9: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione». I partecipanti al dibattito hanno concordemente sostenuto che non si possono separare tutela, attribuita allo Stato e valorizzazione, assegnata alle regioni, senza compromettere la salvaguardia complessiva dei nostri beni culturali. «Il punto della questione - ha notato Zagrebelski - è che i beni artistici andrebbero sottratti al regime di beni economici destinati a produrre un profitto». Proprio su tale questione Settis è stato durissimo. «Un importante economista - ha precisato lo storico dell'arte - ha presentato un testo molto preoccupante al Ministero dell'Economia dal quale si evince che il nostro terrificante debito pubblico si può ripianare vendendo tutto il patrimonio pubblico e in primis i beni culturali. E in un altro documento si sostiene che i musei e i siti archeologici devono trovare da soli i fondi per mantenersi, altrimenti lo Stato se ne deve disfare. In realtà, basterebbe risolvere la piaga dell'evasione fiscale, compresa secondo pareri diversi fra i 210 e i 410 miliardi di euro all'anno. Basterebbe recuperarne il 10% e ogni problema svanirebbe. È mai possibile che l'evasione fiscale sia più protetta dei nostri beni culturali?». Un altro tema scottante è la mancanza del turn over nei ruoli degli storici dell'arte e dei Soprintendenti del Ministero dei Beni Culturali. «L'età media- ha chiarito Strinati- di un funzionario delle Belle Arti è di 55 anni. Non c'è un ricambio generazionale, lo Stato tende a dimenticare se stesso dal punto di vista normativo e rischia quindi di implodere». La situazione difficile e per certi versi paradossale del nostro patrimonio artistico è stata infine sintetizzata col caso «Palazzo Barberini». «Qui, già dal secondo dopoguerra - ha ricordato Settis - avrebbe dovuto sorgere la Galleria Nazionale d'Arte Antica. Ma il Circolo Ufficiali delle Forze Armate da allora non ha mai lasciato gli spazi indebitamente occupati, nonostante innumerevoli impegni presi da tutti i governi che si sono succeduti in questi ultimi cinquant'anni. E così il 70% delle opere restano chiuse in deposito».