Emozioni senza retorica in un'epopea che manca di sintesi

IN «TRAIN de vie», degli ebrei, ai tempi dell'Olocausto, si fingevano deportati custoditi da militari nazisti. In questo nuovo film dell'ebreo rumeno oggi cittadino francese Radu Mihaileanu c'è invece un bambino indotto dalla madre a fingersi ebreo per uscire dall'Etiopia, dove dei veri ebrei, ma di pelle nera, i Falasha, erano oppressi dal regime filosovietico di Menghistu e pativano fame e miseria. Quell'esodo, con meta Israele, era stato organizzato negli anni Ottanta, d'intesa anche con gli Stati Uniti, per far arrivare a Gerusalemme quei falasha che avevano tutto il diritto di vivere finalmente nella Terra Promessa, lontani da persecuzioni. In mezzo a loro, appunto, il bambino protagonista della storia che la madre chiama con il nome ebraico fittizio di Schlomo e se ne separa, pur tra le lacrime, per salvargli la vita («vai e vivrai» gli dice). Tre momenti. La difficile affermazione del bambino, oltre a tutto di colore, in un mondo e in una cultura cui, con molto impegno, deve far credere di appartenere. Il suo desiderio, cresciuto, di adoperarsi per gli altri, con un viaggio in Francia dove diventerà medico. Il suo ritorno alle origini per ritrovare la vera madre anche se la famiglia israeliana che l'aveva adottato non gli aveva lesinato affetti e cure. Il primo momento, Mihaileanu lo ha svolto con un piglio quasi documentario e con immagini spesso monocrome: la condizione dei Falasha in Etiopia, poi la fuga a piedi attraverso il Sudan, fino agli aerei che li trasporteranno in Israele. Il secondo momento, mentre attorno, con il trascorrere del tempo, l'accento cade anche su varie circostanze storiche e politiche, dà finissimo risalto ai travagli di Schlomo costretto a fingere perfino con una ragazza che l'ama e sempre alle prese con le difficoltà dell'integrazione. Pagine calde, qui, psicologicamente molto studiate, con un disegno preciso di tutti i caratteri, sia in primo piano sia di sfondo. Il terzo momento, senza patetismi, è l'incontro con la vera madre che aveva avuto il coraggio di privarsene perché vivesse. Forse i temi sono molti e s'intrecciano fra loro non sempre con il rispetto per la sintesi, ma la novità dell'argomento e, nel suo svolgersi, la sensibilità con cui è trattato favoriscono sia l'adesione sia, spesso, l'emozione. Schlomo, a seconda dell'età, è interpretato da tre attori diversi, fra gli altri, si fa però soprattutto notare l'attrice israeliana Yael Abecassis: una madre adottiva di forte segno.