Il 23 ottobre 1942 l'inizio della battaglia fatale alle truppe italo-tedesche in Egitto

L'armata italo-tedesca vi giunse, col fiato corto, il 30 giugno 1942: le Divisioni non avevano più lineamenti organici, dopo cinquanta settimane di duri e ininterrotti combattimenti e Rommel aveva con sè 55 carri armati tedeschi e 14 italiani. Perché venne decisa l'avanzata in Egitto, invece di tentare l'attacco a Malta, come era stato programmato? Quale fatto nuovo si era verificato, oltre alla resa di Tobruk, con 33mila soldati del Commonwealth? Il 24 giugno 1942 (bisogna fare bene attenzione alle date), il SIM — Servizio Informazioni Militare — aveva intercettato l'ennesimo dispaccio, inviato al Dipartimento della Guerra a Washington, dall'ufficiale di collegamento americano al Cairo, Frank Bonner Fellers. La cosa andava avanti da mesi. Prima dell'entrata in guerra degli Stati Uniti, agenti del SIM (agli ordini dell'allora maggiore Manfredi Talamo, trucidato alle Fosse Ardeatine) erano penetrati nell'ambasciata USA a Roma e avevano prelevato, fotografato e rimesso a posto, senza destare sospetti, il «Black Code», in dotazione agli addetti militari. Rommel chiamava «piccoli Fellers» le preziose informazioni che trasmetteva dal Cairo l'ignaro colonnello americano: era stato il suo collega a Roma, colonnello Norman Fiscke, capo-missione, a farsi giocare dal nostro Servizio. Quando fu messo in chiaro il dispaccio del 24 giugno — tre giorni dopo la capitolazione di Tobruk, un evento di risonanza mondiale — il quadro tracciato da Fellers sulle condizioni in cui versava l'8ª Armata britannica appariva desolante. «Al 7 maggio — informava Fellers — i Britannici avevano nel Medio Oriente 1.564 carri che oggi debbono essere rimpiazzati al cento per cento. Artiglierie perdute: il 50 per cento. Morale l'8ª Armata è bassissimo, la truppa ha perduto la fiducia nei capi. Così pure è basso il morale della R.A.F. La Marina britannica è impotente». Fellers concludeva: «Se Rommel ha intenzione di prendere il Delta ora è il momento oportuno». Nessuno fu più in grado di fermare Rommel — promosso da Hitler Feldmaresciallo — quando ebbe tra le mani questa valutazione. Il generale Ettore Bastico, del Comando Superiore in Libia, dissentì: lo stesso fece Kesselring: «Non credo che possa andare oltre El Alamein. Di questo giudizio mi sento responsabile davanti alla storia». Parole profetiche. Era la prima volta che si parlava della località costiera, nel Deserto Occidentale egiziano, destinata a dare il nome a una delle battaglie decisive della seconda guerra mondiale. L'armata italo-tedesca non passò in luglio e nemmeno a fine agosto, mentre gli inglesi ricevevano armamenti e rifornimenti a profusione: anche 300 carri americani «Sherman» e cento semoventi. La battaglia conclusiva, iniziata il 23 ottobre 1942 e sorprendentemente protrattasi per dodici giorni (Rommel era assente, ma si affrettò a tornare in Africa), impegnò fino all'esaurimento le Divisioni italiane del X, XXI e XX Corpo motorizzato. Ricordiamole tutte: divisioni di fanteria «Brescia», «Bologna», «Trento», «Pavia»; Divisione paracadutisti «Folgore»; divisione motorizzata «Trieste»; divisioni corazzate «Ariete» e «Littorio». Nelle memorie di Rommel si legge: «Bisogna dire che le prestazioni di tutte le unità italiane, ma specialmente delle unità motorizzate, superano di molto ciò che l'esercito italiano ha fatto negli ultimi decenni». E il dottor Monzel, capo degli interpreti presso il XX Corpo: «La probabilità di sopravvivere, durante un attacco, nei fragili carri italiani M-14, stava al di là della sfera cui appartiene il valore come fatto morale». Le unità corazzate italiane si consumarono come cera al fuoco. Si immolò la «Folgore», inserita in linea nell'estate. Il 14 novembre, partì l'ultimo messaggio radio dell'«Ariete»: «Carri Ariete combattono». uscivano di scena i veterani «ai quali — scrive sempre Rommel — avevamo sempre chiesto più di quello che e