«Portiamo a scuola i cinesi»

Luca Serianni, docente di Storia della Lingua italiana alla Sapienza di Roma riceve un primo forte segnale dal rapporto Eurisko sulla diffusione dell'Italiano nel mondo commissionato dalla Dante Alighieri. È ora di fare investimenti definitivi per promuovere la nostra lingua nel mondo «sapendo - aggiunge - che si tratta di spendere soldi il cui ritorno è immediato. In due-tre anni i risultati sarebbero visibili, concreti, in termini di immagine, di circolazione di denaro e quindi di ricchezza». Settanta milioni, perché? «È la cifra che ogni anno riceve l'Istituto Cervantes per la diffusione dello spagnolo nel mondo. La Dante Alighieri (quasi cinquecento sedi in tutto il mondo) amministra appena un milione di euro. Non vogliamo aspirare alle esagerazioni della Francia, che ha un ministero ad hoc, ripartiamo dai settanta milioni della Spagna che, dati gli ottimi risultati ottenuti attraverso corsi, promozioni internazionali, ma anche spot costruiti sull'origine delle lettere, possono bastare per riportare il tema al centro dell'attenzione della politica e dell'imprenditoria». Parliamo prima dell'attenzione politica. Dove si è bloccato il processo di sviluppo a sostegno dell'Italiano e della nostra cultura? «Non si è fermato. Non è mai esistito. Distrazione, priorità non rilevata. La si può chiamare come si vuole. Questa è la realtà. Ci siamo illusi che bastassero le bellezze naturali e il passaparola sulla suggestione dei nostri angoli di Paradiso. Evidentemente non è quello che andava fatto se oggi l'Italia del turismo, che nel 1960 era al primo posto, è la quinta meta preferita nel mondo superata anche dalla Cina. Ma se il dato è sicuramente preoccupante, converrà tuttavia coglierne il lato positivo. Se niente si è fatto, tutto c'è da fare. Non resta che partire avendo chiaro l'obiettivo, riportare l'Italia dove merita ed è giusto che stia». Cioè meta eccellente per il turista e per il viaggiatore. Considerate le traversie dei nostri conti pubblici, è favorevole a interventi di sponsor privati? «Più che favorevole. Proviamo a immaginare soltanto quale ritorno potrebbe avere l'istituzione di mille borse di studio destinate ad altrettanti studenti cinesi. Un bacino inesauribile per scambi culturali con una inevitabile ricaduta sul turismo, senza dimenticare che studiare un idioma straniero equivale a mettere chi lo apprende nelle condizioni di acquisire conoscenze specifiche nel proprio ambito di formazione e di interesse. Promuovere la lingua non è un progetto di recupero storico. Diffonderla significa investire su un prodotto dalla rendita sicura. È dunque riduttivo pensare a vantaggi che ricadono sulla letteratura, sull'arte o sul cinema, più corretto ritenere che parliamo di uno strumento che aiuta a spaziare in ogni ambito del sapere, comprese le scienze e le nuove tecnologie». Il rapporto Eurisko evidenzia una forte presenza e una forte aspirazione ad accrescere le ore di studio dedicate all'italiano nel Paesi del Sud America e in Argentina in particolare. È solo una questione di nostalgia? «È assolutamente vero il contrario. Lo studioso Alejandro Patat documenta in un saggio che l'italiano è la seconda lingua preferita dall'80% degli studenti, il 51% per cento dei quali è rappresentato da bambini e da adolescenti. Prova di un radicamento stratificato e massiccio riconosciuto come senso di appartenenza a una tradizione remota, ma anche e soprattutto certezza che l'italiano è una lingua del futuro». Si può affermare che chi conosce l'Italia non può non volerne sapere di più? «È esattamente così. Lo prova il caso Argentina». Si tratta di un modello esportabile? «Sono due i bacini delle prossime sfide. Innanzitutto i Paesi dell'Europa orientale, Ungheria, Bulgaria e Romania dove l'interesse per l'italiano è storicamente presente e va sicuramente potenziato. Fra i Paesi più lontani credo che il più interessante e forse anche il più curioso nei confronti della nostra lingua sia oggi la Cina». Un piano ambizioso. «Un programma che in due-tre anni pu