Il libro più raro in biblioteca?

Secondo quanto dichiarato nelle strombazzatissime conferenze stampa l'accordo consiste in questi punti fondamentali: 1) Google si impegna a installare presso ciascuna biblioteca un centro di digitalizzazione in grado - una volta a regime - di "trattare" diecimila volumi a settimana. I costi della digitalizzazione sono a carico di Google. 2) Una copia digitale di ogni volume trattato è consegnata alla biblioteca, per l'inserimento della medesima nella propria "digital library". 3) Una copia digitale sarà invece indicizzata dagli algoritmi di Google per essere consultabile attraverso l'interfaccia canonica del più popolare tra i motori di ricerca. 4) Quanto detto sopra si riferisce ad opere che non sono protette da copyright. Alcune biblioteche (Harvard ad esempio) consentiranno però l'indicizzazione - da parte di Google - dei dati bibliografici presenti nei loro cataloghi. Questa partnership suggerisce un paio di considerazioni. Prima considerazione. Google non è "un" semplice motore di ricerca, è qualcosa di molto più complesso. Dal punto di vista tecnico è un motore di ricerca diverso da tutti gli altri per la capacità di intendere i collegamenti del Web come "citazioni" tra un documento e l'altro: quello che i teorici degli ipertesti hanno da sempre predicato, cioè che le citazioni bibliografiche hanno precorso il concetto informatico di "link", Google l'ha realizzato. Ma, come noto, l'interesse di Google non rimane confinato al Web: la sua strategia di interesse è omnicomprensiva: qualsiasi informazione codificata in formato digitale rientra potenzialmente nella sua sfera di interesse. Si pensi alla musica, alle immagini, a quell'immenso patrimonio di dati raccolti nelle memorie dei newsgroup (Google Groups). Si pensi al ponte gettato verso l'editoria scientifica in formato "open" (Google Scholar). Che le biblioteche dovessero prima o poi cadere sotto l'occhio scrutatore di Google non era solo ovvio, era dichiarato (Google Print). Si consideri poi che, dal punto di vista comunicazionale, Google si pone a distanza siderale da ogni altro concorrente per la capacità di aver creato non solo un sistema per la ricerca in Rete, ma piuttosto un'idea della ricerca in Rete, e di averla imposta in modo rivoluzionario e vincente: nonostante i tanti episodi di Googlemania, non si può liquidare Google come una moda passeggera o un semplice fenomeno di costume: ci troviamo di fronte a una delle realtà più significative degli ultimi cento anni nel mondo degli strumenti per il trattamento dell'informazione, al punto da essere entrata nel vocabolario ("to google": fare una ricerca con Google) e nell'immaginario collettivo. Seconda considerazione. Reginald Carr, direttore degli Oxford University Library Services, sostiene che la collaborazione tra Google e biblioteche è il classico esempio di una "win-win situation", cioè un patto che porta benefici a entrambi i contraenti. Affermazione da sottoscrivere, a nostro modo di vedere. Infatti i vantaggi che Google può ricavare da questa collaborazione sono molteplici, primo fra tutti (anche perché se lo è già messo in saccoccia) una notevole visibilità in senso del tutto positivo: il che, per una matricola di borsa, non può che rappresentare un vero toccasana. Google, con questa partnership, immetterà nei propri database una massa di dati qualitativamente molto elevata, dal momento che si parla di una selezione delle raccolte di alcune fra le più importanti biblioteche al mondo; inoltre perfezionerà un know-how nel trattamento digitalizzato dei testi che potrà in seguito far opportunamente fruttare. Le biblioteche, da parte loro, avranno la possibilità di arricchire la loro offerta di risorse digitali con le copie elettroniche prodotte da Google. Questo significa che i sistemi catalografici saranno in grado, in misura sempre maggiore, di offrire all'utente non so