Sandinismo riveduto e corretto

Giovanni Paolo II, cominciato il suo viaggio in Centro America, II fece tappa in Nicaragua; e già all'arrivo si capì subito che la visita sarebbe stata strumentalizzata dal regime sandinista. Nessuno però poteva immaginare quel che sarebbe accaduto nel pomeriggio, durante la celebrazione della Messa, nella piazza 19 de Julio, a Managua. Il Papa impedito di parlare. L'impianto dei microfoni manipolato. Il rito eucaristico profanato. La gente tenuta lontana, «cancellata» nelle dirette televisive. Il sandinismo era sorto molto tempo prima, negli anni Trenta. Immediatamente aveva assunto connotazioni antiamericane (per il fatto stesso che Augusto Cesar Sandino aveva guidato la sommossa dei contadini contro gli Stati Uniti), ma con il tempo aveva acquisito una dimensione profondamente popolare, coinvolgendo tutte le forze sociali. E poté così rappresentare il collante ideale per il movimento rivoluzionario che, il 19 luglio del 1979, spazzò via, dopo quarantacinque anni, la dittatura dei Somoza. Ma, appena conquistato il potere, nel Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale prevalse rapidamente la matrice marxista e terzomondista. Le campane avevano suonato a festa quando le truppe rivoluzionarie erano entrate a Managua; ma già l'anno dopo i vescovi, dall'appoggio iniziale, passarono a una durissima critica del regime. Lo accusarono, da un lato, di voler «monopolizzare» l'intera vita nazionale; e, dall'altro, di sostenere la nascita di una Iglesia popular, ispirata alla «teologia della liberazione», che propugnava una rilettura del Vangelo in chiave marxiana per andare incontro alle ansie di giustizia di milioni di poveri. Giovanni Paolo II andò in Nicaragua proprio in quella difficile congiuntura politica ed ecclesiale. Oltretutto, allora, il Centro America era un'area ad alto rischio, caldissima, essendo diventato uno dei maggiori scenari del confronto ideologico tra capitalismo e comunismo. E il Nicaragua era appunto l'epicentro dello scontro egemonico fra Stati Uniti e Unione Sovietica. Anche perché i vertici dell'amministrazione americana temevano che il focolaio nicaraguese, considerato una «seconda Cuba», finisse per contagiare l'intero continente latinoamericano. E così, nell'attimo stesso in cui il Pontefice arrivò in quel Paese, si mise in moto la Grande Strumentalizzazione. Esisteva un vero e proprio «piano» per ostacolare la visita, e per screditare il Papa agli occhi della popolazione, facendolo apparire come filoamericano e contro invece il sandinismo e i suoi eroi. Più tardi, raccontò tutto un ex dirigente di una sezione della Sicurezza, Miguel Bolanos: «Davanti al palco c'erano soltanto 400 "addomesticati". La grande folla si trovava molto più indietro... Al momento convenuto, il comandante Calderon fece un segnale. E allora la sei "madri di martiri", insieme con le "turbas" (miliziani addestrati per le azioni di disturbo - ndr), recitarono il copione, salirono sul palco...». Il Papa dovette difendersi da solo, urlando «Silenzio! Silenzio!», e replicando agli slogan degli attivisti. Eppure, il giorno dopo, ci fu un giornale italiano che intitolò: «In trecentomila contestano il Papa«. Ci furono altri quotidiani e perfino una autorevole rivista cattolica che misero sullo stesso piano (come per una sorta di causa ed effetto) la «severa e totale condanna» del Pontefice nei confronti della Iglesia popular e la «protesta che ne è seguita». In seguito, alcuni sacerdoti e giornalisti di diversi Paesi scrissero una lettera aperta per smentire che si fosse trattato di «qualcosa di preparato previamente». E adesso? Giovanni Paolo ha già avuto, come qualcuno un po' trionfalisticamente ha commentato, la sua brava «rivincita». Quando è tornato in Nicaragua, nel febbraio del 1996, il sandinismo non solo era stato sconfitto alle elezioni, ma aveva perduto il favore popolare essendo venuti a galla gli intrallazzi economici di molti dei suoi dirigenti. E il Papa ha ricordato la precedent