ESCE in questi giorni, per i tipi dell'editore Rubbettino, «Perché gli intellettuali non amano il liberalismo», ...

Per gentile concessione dell'Autore e dell'Editore ne anticipiamo un brano. di RAYMOND BOUDON LE SCIENZE umane negli ultimi decenni hanno finito per essere considerate da molti dei loro rappresentanti come discipline orientate ad un principale scopo: quello di smascherare e denunciare errori del senso comune. I maestri del sospetto hanno dominato la vita intellettuale, in ampi settori delle scienze dell'uomo, escludendo o marginalizzando gli intellettuali vicino alla tradizione liberale. Si tratta di idee che oggi non sono più affermate con la stessa forza con la quale lo sono state in altri momenti della storia, ma sono comunque presenti anche, sotto forma meno radicale. In breve, dai principi condivisi che ispirano questi movimenti di pensiero (marxismo, psicoanalisi, comportamentismo, strutturalismo) si evince che le scienze dell'uomo dovrebbero completamente trascurare la nozione di autonomia, che fu così cara a Kant e a tutto il movimento liberale. Se si trascura l'influenza sotterranea di questi schemi esplicativi, non si capisce perché, per esempio, molti sociologi, antropologi, molti politici, intellettuali militanti, e una gran parte dell'opinione pubblica, guardano l'economia come una falsa scienza, che si potrebbe legittimamente ignorare e trattare come pura ideologia. (...) Una conseguenza del consolidamento di questi schemi esplicativi merita di essere ricordata. Essi valorizzano moltissimo il ruolo degli intellettuali, i soli che sarebbero capaci di sfuggire al muro della caverna - per dirla con una metafora tratta da Platone - e di denunciare le illusioni del senso comune. (...) Ma va ricordata un'altra ragione fondamentale dell'allontanamento dalla tradizione liberale: la tradizione liberale non fornisce che conoscenze parziali della società. Le scienze sociali che si ispirano ai principi della tradizione liberale propongono analisi solide di un insieme comunque circoscritto di fenomeni. Non cercano affatto di dare un'immagine unica, semplice e globale della società. Nello stesso modo in cui la biologia conosce sempre meglio i processi che hanno dato la vita, ma è sempre meno capace di spiegare l'essenza della vita, la sociologia che si ispira ai pensieri liberali si accontenta di proporre delle spiegazioni di fenomeni circoscritti. In breve, la tradizione liberale, agli occhi di coloro che vi si oppongono, ha l'inconveniente di non formulare una visione globale del mondo, di non essere una ideologia o una «religione secolare». Last but non least: sul piano filosofico il liberalismo rappresenta la tradizione di pensiero meno escatologica che vi possa essere. È convinto che le idee obbediscano a processi di selezione razionale e che la nozione di progresso sia fondamentale. Una delle due dimensioni del progresso consiste nell'instaurazione di norme che permettono di alzare il livello di fiducia che i cittadini nutrono per le istituzioni: norme che permettono di eliminare la corruzione, di accentuare la trasparenza delle decisioni a beneficio di quelli che subiscono le conseguenze, di prendere in seria considerazione i sentimenti dei cittadini in materia di equità. Il liberalismo rifiuta di considerare l'ipotesi che la nozione di «fine della storia» abbia il minimo senso. In genere, il disincanto che si definisce come l'abbandono di ogni visione mitologica del mondo, accompagna strettamente il liberalismo. Questo lo rende poco attraente per molte persone. Per quanto poi riguarda il pragmatismo al quale è in parte connesso, rappresenta certamente una filosofia meno vivace e seducente di molte altre. Dunque, si comprende perché molti intellettuali non si sentano affatto attratti dal liberalismo. Ne hanno ogni sorta di ragione.