Delio Cantimori lo storico marxista ribelle all'ideologia

Il suo nome è legato soprattutto agli studi sul Cinquecento, alle ricerche sugli eretici italiani e sul giacobinismo italiano, oltre che a indagini sulla cultura e sulla storia tedesca della prima metà del Novecento. A lui è dedicato un importante convegno, organizzato dalla Luiss-Guido Carli e dall'Università di Salerno, con l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica e con il patrocinio della Presidenza del Senato della Repubblica. La manifestazione, che prevede interventi di molti e qualificati storici (da Giuseppe Galasso a Michel Ostenc, da Sergio Bertelli a Giuseppe Tedeschi, da Paolo Simoncelli e Eugenio Di Rienzo e via dicendo), si terrà a Roma nella Sala delle Colonne della Luiss-Guido Carli nelle giornate di oggi e domani. In vita, Cantimori ebbe una grandissima influenza non soltanto in campo intellettuale, ma anche in campo politico-culturale e in campo accademico. Fu il punto di riferimento di molti storici divenuti famosi. Renzo De Felice - che gli fu legatissimo e che proprio da lui fu spinto ad occuparsi della storia del fascismo - lo ha sempre considerato il suo vero maestro. Ha ricordato, anzi, che all'inizio degli anni cinquanta tutti i giovani interessati agli studi subivano il fascino di un uomo considerato quasi «il patriarca della storiografia marxista» nell'università italiana. In realtà il rapporto fra il giovane De Felice e il già mitico Cantimori era nato per una comunanza di interessi storiografici, quelli sull'illuminismo e sul giacobinismo italiano. Malgrado il suo marxismo e la sua appartenenza al Partito comunista italiano, Cantimori polemizzava - soprattutto in privato - contro il "moralismo sublime" che danneggiava gli studi di storia contemporanea, contestava la tendenza alle generalizzazioni parapolitiche o prepolitiche, detestava la deriva sociologistica della ricerca storica legata al successo della scuola storiografica francese delle «Annales». Sosteneva che l'insegnamento universitario non avrebbe dovuto trasformarsi in una sorta di predicazione politica per sostenere posizioni democratiche o liberali o espresse da qualsiasi altra ideologia. In proposito De Felice ha ricordato che in una sua bellissima lettera, Cantimori aveva affrontato il problema del fascismo, sostenendo che a livello storiografico i discorsi sul fascismo - come pure quelli sull'antifascismo - non avevano senso poiché si trattava di realtà estremamente composite che andavano indagate, per essere comprese appieno, in tutte le loro componenti e nella ricostruzione del loro sviluppo. E, in effetti, la ricerca poi impostata da De Felice si era mossa lungo la direttrice indicata da Cantimori. Ha scritto De Felice: «Cantimori era un uomo aperto ad ogni suggestione, disposto a discutere anche ciò che considerava errato, pronto a inseguire ogni traccia, anche la più vaga, che gli veniva prospettata. In questo era l'opposto di Chabod che era sempre convinto di quello che diceva e sicuro del suo operato. Cantimori era e sempre più divenne col tempo un uomo dilacerato, problematico, diviso tra "dover essere" ed "essere". Nonostante questo suo carattere (ma forse, proprio grazie ad esso) egli è stato a mio avviso - e non credo di essere condizionato dal mio affetto per lui - il maggiore degli storici italiani della sua generazione. A lui, come in un modo diverso e in tempi successivi alla sua morte, a Romeo, mi sento di dovere moltissimo». Si comprende come e perché, all'indomani della morte avvenuta nel 1966, Cantimori sia, in un certo senso, divenuto un "problema" ingombrante per la sinistra. Bisognava "salvare" il marxista Cantimori dal peso di una contiguità, in qualche misura, imbarazzante con il fascismo e spiegare il suo passaggio al comunismo. Si assistette così a tentativi maldestri di retrodatare fino agli anni trenta o (in qualche caso addirittura alla metà degli anni venti) la sua "crisi" postulando un precoce abba