Almodovar tiepido tra sesso e idolatria Accolta senza entusiasmo dalla stampa la scabrosa storia ambientata in un istituto religioso

Ma subito dopo, serio, ha aggiunto: «Dedico questo momento e il film alle vittime dell'attentato dell'11 marzo a Madrid». Dopo aver pronunciato in spagnolo la fatidica frase di apertura, ha passato il microfono alle attrici di tanti suoi film, venute a sorpresa a festeggiarlo. Così hanno ripetuto la dichiarazione di apertura del festival Victoria Abril in cinese, Carmen Maura in spagnolo, Angela Molina in italiano, Marisa Paredes in inglese e Eleonor Watlin in francese. La kermesse cinematografica è partita dopo l'inevitabile parentesi sindacale: undici lavoratori precari dello spettacolo hanno infatti manifestato pacificamente (e discretamente) sulla Montee des Marches, la nota scalinata che porta al Grand Teathre Lumiere. Sulla Monthe de Marche si sono visti, tra gli altri, Max Von Sydow, Gong Lee, Laetitia Casta, Tim Roth, Adrien Brody. Poi i membri della giuria Emmanuelle Beart con un abito lungo neo-hyppie, l'androgina Tilda Swinton, in abito fluido dorato e l'americano Kathleen Turner. Più, naturalmente, il presidente Quentin Tarantino, presentato in sala da Laura Morante vestita da Armani. Tutti insieme ad Almodovar in completo nero, i suoi attori, Gael Garcia Bernal, Fele Martinez, Javier Camara, Lluis Homar, il fratello di Pedro, Agustin. Melò e noir, amori proibiti e corpi violati, grand guignol e storia d'amore, preti che amano troppo e carrieristi pronti a tutto. Pedro Almodovar racconta «La mala educacion», che alla prima proiezione per la stampa ha raccolto, in verità, solo tiepidi applausi. «Conosco la storia che ho raccontato - dice - anche se non è la mia. Per fortuna sono passati molti anni da quell'epoca e il tempo ha contributo al necessario distacco». Le coincidenze con la vita del regista sono più di una: ha studiato in collegio dai salesiani e dai francescani e cantava nel coro ad esempio, come accade al suo personaggio Ignacio. Così «La mala educacion» del titolo (che esce oggi in Francia e solo in ottobre in Italia. Ma avrà il divieto?) è - ammette l'artista spagnolo - «l'educazione che ho ricevuto, basata sul castigo, sul farti sentire colpevole. Dunque è un miracolo che io sia un uomo normale e faccia il regista». E gli abusi dei sacerdoti? «Sono da denunciare, sono crimini terribili. Ma il mio non è un film di denuncia sugli abusi sessuali ai minori, parla di altro: il mio prete abusa del ragazzo esercitando il suo potere, ma lo fa perchè è follemente innamorato di lui. Per questo, infine la sua è una grande storia d'amore». Per Almodovar, il modo in cui in Spagna si vive la religione è pura idolatria: «Parlo della mia famiglia, della gente che conosco, non di tutti gli spagnoli. Loro la vivono in una maniera praticamente pagana. Cosa è altrimenti un evento come la Semana Santa di Siviglia se non un rito pagano? Vivere in maniera profana la religione credo sia in definitiva il modo migliore di viverla». Gli studi in collegio, l'estrazione familiare hanno fatto prendere ad Almodovar le distanze dalla Chiesa, «ma la liturgia cattolica invece mi affascina. Così nel film mi approprio della cerimonia religiosa e ne faccio dono ai personaggi che vampirizzandola si relazionano tra loro in maniera liturgica. La Chiesa invece la utilizzo come qualcosa di decorativo, penso a certe figure del Cristo, dei Santi e della Vergine».