di ANNA FIORINO ROBERTO Benigni.

I giovani maestri sono cresciuti, finalmente evinti dal dramma narrativo di nicchia, finalmente preparati a sostenere sceneggiature dal ritmo plausibile. Che vengono acquistate all'estero. Dopo decenni di silenzio, garbati dinieghi e nostalgia per i classici, i nostri film stanno riconquistando i compratori, i critici, il pubblico di molti paesi stranieri. La Francia, che sembrava aver sbarrato le frontiere, si mette in coda per «La meglio gioventù» (record assoluto di permanenza in sala a Parigi), applaude il Bellocchio di «Buongiorno, notte», riscopre il neorealismo italiano con Vincenzo Marra di «Tornando a casa», fa il pieno nelle sale con le commedie di Muccino. Negli Stati Uniti «Respiro» è il migliore incasso italiano del 2003 e in queste settimane colleziona critiche insperate «Io non ho paura» di Gabriele Salvatores entrato nella "top list" dei registi europei a cui offrire di girare film americani. Nell'ultimo anno il numero delle pellicole comprate è raddoppiato. Non è l'America, ma qualcosa si muove. Ne parliamo con Giovanni Galoppi, 48 anni, avvocato romano (e romanista), presidente di Audiovisual Industry Promotion Spa, la società mista (Cinecittà Holding e Fiera Milano) che promuove il cinema e i mercati audiovisivi italiani nel mondo. «Film migliori, o più comprensibili che fanno da traino anche a quelli che lo sono meno. Un mercato più forte in patria che tiene conto del gusto internazionale. Da qui partiamo per creare un'immagine vincente all'estero concentrandoci sull'idea del marketing culturale globale». Un'industria nata a dicembre dell'anno scorso che ha avuto la fortuna di cominciare a lavorare quando i nostri registi e produttori hanno ritrovato la via del successo. «Veniamo da un 2003 molto positivo e la presenza in tutte le sezioni del Festival di Cannes è un segnale determinante che diamo alla comunità internazionale degli operatori». Se il cinema italiano piace, qual è la fatica di fare il presidente dell'Aip? «È vero che basta far vedere in sala i nostri film per ottenere successi straordinari come è successo la scorsa settimana al Festival del cinema italiano a Tokyo (il secondo mercato mondiale) con «Il cuore altrove» di Pupi Avati. Il difficile è convincere i produttori stranieri ad acquistarli. In molti casi appena dici Italia ti cominciano a parlare di Fellini e Loren, i più informati conoscono Bellucci e Cucinotta. E io devo partire da Adamo ed Eva». Questo vuol dire che chi ha lavorato prima di Aip non ha lasciato buoni ricordi? «Questo vuol dire che non si può pretendere di andare a tutti i festival, anche i più sfigatini solo per mettere la bandierina, ma che bisogna scegliere, stabilire contatti con le istituzioni locali. Portare nel mondo un prodotto, e a questo mi riferisco quando parlo di marketing globale, che non è solo cultura. Ma che rappresenta più della moda l'Italia nel mondo». Lo dice perché è di questo che lei si occupa. Il presidente degli albergatori potrebbe dire che è il turismo la prima industria italiana. «La lezione degli americani che hanno imposto ovunque nel mondo il loro stile di vita attraverso il cinema deve farci riflettere: abbiamo un patrimonio incomparabile, una civiltà del gusto (dall'arte alla cucina alla moda) ovunque invidiata. I film sono una fantastica opportunità per rilanciare il nostro Paese, per mostrarne la modernità e la tradizione. I registi contemporanei hanno compreso la lezione. Ecco perché quando conquistiamo un mercato che diventa favorevole ai nostri produttori non abbiamo venduto cultura, ma abbiamo portato un'immagine che muove il mercato e la curiosità. L'anno scorso il 40% dei 113 film prodotti in Italia è andato all'estero». I mezzi a disposizione di Aip, a confronto di Unifrance, l'organismo omologo che è il più forte del mondo, sono di uno a cento. Non sarà un po' poco per competere c