Al Louvre è di scena il porfido: una mostra ne ripercorre la fascinosa storia, dai Tolomei dell'Antico Egitto a Bonaparte.

Particolare curioso: tutti i pezzi della mostra sono in porfido estratto in una zona remota del deserto egiziano orientale (l'attuale Gebel Dokhan) dove le cave furono sfruttate sistematicamente per circa quattrocento anni a partire da primo secolo dopo Cristo, sotto l'imperatore Tiberio, e poi caddero nel più totale oblio. Le opere d'arte successive alla caduta dell'impero romano d'Occidente furono dunque realizzate cannibalizzando il porfido di colonne, vasche, pavimenti di cui era ricca la Città Eterna. Soltanto verso la fine del diciottesimo secolo il brutale riciclaggio si arresto perché sul mercato incominciarono ad arrivare porfidi da Russia e Svezia. Non è un caso che proprio il Louvre abbia organizzato la mostra in omaggio al «porfido rosso egiziano»: grazie a Re Sole vanta infatti la maggiore collezione mondiale di opere d'arte in questa pietra e per raccontarne in modo compiuto la lunga fortuna nei secoli ha dovuto farsi prestare soltanto una ventina dei settanta pezzi adesso in mostra.