di CARLO LOTTIERI LA NOSTRA è un'epoca caratterizzata da una riscoperta della globalizzazione ...

Nel corso del ventesimo secolo l'uomo che ha fatto più di ogni altro per contrastare l'economia pianificata è certamente Ludwig von Mises. È sufficiente ricordare, al riguardo, che mentre ancora negli anni Ottanta un economista come Paul Samuelson era convinto che presto l'Unione sovietica avrebbe superato gli Stati Uniti, fin dagli anni Venti l'economista austriaco aveva dimostrato l'impossibilità di una solida economia socialista, priva di proprietà privata e quindi senza prezzi di mercato. Figlio della "grande Vienna" e ardente difensore del mercato in un'età che vide trionfare ogni forma di socialismo (bolscevismo e nazionalsocialismo, infatti, furono solo la manifestazione più patologica dello statalismo che ha dominato il secolo), Mises s'accosta alla teoria liberale grazie alla lettura di Carl Menger, fondatore della Scuola austriaca di economia. Di qui la sua partecipazione ai seminari di studio diretti da Eugen von Böhm-Bawerk, che di Menger fu immediato seguace e continuatore. Nel 1912, Mises pubblica «La teoria della moneta e del credito», nel quale mostra che il denaro è una creazione sociale, nata dal mercato. All'epoca, però, egli è ritenuto un relitto del passato, cui va negata una posizione accademica permanente. Deve quindi accontentarsi di un lavoro alla Camera di Commercio austriaca. Il che non gli impedisce di organizzare un seminario che, per molti anni, attrae alcune tra le migliori intelligenze d'Europa (Friedrich von Hayek e Lionel Robbins, per fare solo due nomi). Nemico di ogni forma di collettivismo, in quegli anni Mises offre anche importanti contributi alla metodologia. Egli insegna, in effetti, che ciò che chiamiamo "società" non è altro che il risultato dell'azione intenzionale dei singoli, che in vario modo intrecciano le loro decisioni. Mentre gli economisti "ufficiali" hanno elaborato un'economia modellata sulla fisica newtoniana, Mises focalizza l'attenzione sull'individuo imprenditore, e su ogni individuo in quanto imprenditore di se stesso. In questo senso, la teoria dell'azione evidenzia la centralità del processo di mercato ed accantona un concetto statico ed irreale qual è l'equilibrio generale. Dopo la caduta dell'Austria nella morsa del nazionalsocialismo, egli esprime queste sue idee in un'opera portata a termine nell'esilio ginevrino, «Nationalökonomie» (tradotta poi in inglese come «Human Action», il suo capolavoro). Presto, però, Mises deve lasciare pure la Svizzera per emigrare negli Stati Uniti. Neppure lì vede riconosciuto in ambito accademico il suo valore. In America, in effetti, egli non ottiene altro che un posto da visiting professor presso la New York University. A dispetto di tutto ciò, oggi si può dire che il tempo ha reso onore alla sua capacità di influenzare le grandi menti. I suoi studenti Wilhelm Röpke e Ludwig Erhard hanno aiutato la Germania del dopoguerra a muoversi verso il mercato e a raggiungere risultati strabilianti. Il suo amico Luigi Einaudi è stato uno degli artefici della rinascita italiana. In Francia, il suo studente Jacques Rueff, consigliere di De Gaulle, ha guidato la battaglia per la moneta stabile e il libero mercato. Sul piano squisitamente intellettuale, inoltre, egli ha influenzato personalità eccellenti come Alfred Schütz (a cui si deve la prima importante sociologia d'impostazione fenomenologica), Bruno Leoni (il grande giurista libertario torinese), Israel Kirzner (che ha tenuto viva l'eredità misesiana alla New York University) e Murray N. Rothbard (che è stato anche autore di un volume affettuosissimo, «Ludwig von Mises: Scholar, Creator, Hero»). Sarà proprio Rothbard a fondare il Mises Institute di Auburn (Alabama), che tuttora s'incarica proseguire la battaglia contro lo statalismo. Certamente, Mises non è vissuto a sufficienza per vedere la rinascita dell'inte