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di EMMA SANCIS BLANCA Reyes è la coraggiosa moglie di Raúl Rivero, il poeta e giornalista ...

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Il cinquantottenne Rivero dirige l'agenzia di stampa da lui fondata nel 1995 Cuba Press e collabora con diversi giornali stranieri. «Ma è soprattutto - puntualizza sua moglie - un poeta». Ed è innamorato del suo Paese, che si è sempre rifiutato di lasciare, benché le autorità cubane abbiano fatto di tutto per convincerlo ad andarsene in esilio. Dal giorno del suo arresto la signora Reyes perora la sua causa. Cosa ha fatto suo marito per essere condannato a vent'anni di prigione? «Ha commesso il delitto di scrivere quello che pensava». Spera che possa essere rilasciato presto? «No. Raúl è in prigione perché così ha deciso Fidel Castro, e vi rimarrà tutto il tempo che lui vorrà. Quando finalmente potremo riunirci, io avrò 75 anni». Come sopravvive? «Ho fatto la contabile per venticinque anni, ma poi sono stata degradata a cassiera di un'impresa funebre». Eppure anche lei all'inizio era una sostenitrice della Rivoluzione. «Sì, ma a 21 anni mi sposai col mio primo marito, anche lui un giornalista, che mi fece aprire gli occhi. Nel 1975, poi, vennero a Cuba alcuni parenti che vivevano in esilio e allora capii che mentre il resto del pianeta viveva, noi lavoravamo come volontari per un mondo migliore che non arrivava mai». Come conobbe Rivero? «Era amico del mio primo marito, che intanto si era fatto una nuova vita negli Stati Uniti. Dopo parecchi anni, Raúl ed io decidemmo di unire le nostre solitudini. Siamo sposati da sedici anni». Quando vi sposaste, lui era già un controrivoluzionario? «Era, come me, in un momento di ripensamento. Nel 1991 fu uno dei firmatari della "Lettera dei dieci", con cui dieci intellettuali chiedevano riforme al governo». Com'era la vostra vita? «Quasi invivibile, come lo è per tutti a Cuba se non si ricevono aiuti dall'estero. Come può farcela, per esempio, un medico che guadagna venti dollari al mese? Conosco dei chirurghi che, dopo aver operato tutto il giorno, la sera fanno il tassista per poter campare». Dopo la "Lettera dei dieci", come ve la cavaste? «Vivevamo col mio stipendio di cassiera. Lavoravo otto ore al giorno per cinque dollari; e per fortuna mio figlio, che intanto se n'era andato anche lui all'estero, ci mandava dei soldi. Poi Raúl fondò l'agenzia Cuba Press e cominciò a collaborare con importanti quotidiani stranieri come Le Monde e il New Herald. Questo ha offerto lo spunto alle autorità cubane per accusarlo di essere una spia al servizio degli americani. Ma mio marito, più che un giornalista, è soprattutto un poeta: ha pubblicato dieci raccolte di poesie, sette delle quali anche a Cuba, e ha ricevuto molti premi». Le condizioni di detenzione di suo marito sono durissime. Ha potuto incontrarlo? «Sì. Posso vederlo ogni tre mesi per un paio di ore insieme alla sua famiglia, e da sola ogni cinque mesi». Gli concedono per lo meno di scrivere? «Ha scritto diverse poesie d'amore e una è intitolata Autografo per Bianca, ma le autorità cubane non me la lasciano portare fuori dalla prigione. Non hanno arrestato soltanto un poeta, ma anche la poesia». Come si comportano con lei i suoi connazionali? «Se entro in un locale pubblico e dico di essere la moglie di Raúl Rivero, tutti se ne vanno. I cubani hanno paura, non vogliono guai, "tengono figli"». Lei ha spedito lettere a mezzo mondo. «Sì, al Papa, a Nelson Mandela, al Primo ministro e ai re di Spagna, a Kofi Annan e a tutte le mogli degli ex-presidenti degli Stati Uniti». Ha ricevuto qualche risposta? «Mi ha risposto solo Aznar, ma la UE ha preso posizione in nostra difesa e il Papa ha scritto a Castro».

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