Addio Yvonne, sogno italiano del dopoguerra

Adottata dall'Italia e vissuta nel più stretto riserbo in questi ultimi anni vicino alla figlia, è morta ieri a Bologna all'età di 77 anni. Venuta a Roma per studiare all'indomani della guerra mondiale, Yvonne Sanson ci mette meno di un anno per approdare su un set. Nel '46 è poco più di una comparsa nel ruolo di Daisy in «La grande aurora» di Giuseppe Scotese e poi una servetta in «Aquila Nera» di Riccardo Freda. La sua carriera comincia effettivamente nel 1947 quando Alberto Lattuada le cuce addosso i panni di Ginevra Canale in «Il delitto di Giovanni Episcopo» ma subito dopo la Sanson abbandona vesti dimesse e realismo letterario per atteggiarsi alla regale Caterina II nel «Cavaliere misterioso» ancora di Freda. Dopo un paio di incursioni nel puro cinema di genere tra «Nerone e Messalina» e «L'imperatore di Capri» (per cui la scelsero Steno e Monicelli) coglie al volo l'occasione di una vita nel 1949 con «Catene» di Raffaello Matarazzo. Nel ruolo di Rosa, a fianco di Amedeo Nazzari, nei panni di una donna passionale che sconta l'amore con una perpetua condanna all' infelicità, la giovane attrice ormai pienamente italianizzata ottiene un personale successo di pubblico e, alcuni anni dopo grazie alla critica francese diventa l'icona trasgressiva dell'Italia cattolica e melodrammatica che tanto piace all' altezzosa critica francese. È una diva in Italia grazie a «I figli di nessuno» e «Wanda la peccatrice» diretti rispettivamente dal fedele Matarazzo e da Duilio Coletti. Il suo personaggio non cambia: emblema del sesso trasgressivo e colpevole, donna romantica e di forti sentimenti, vittima del destino ma intrepida combattente per il suo sogno d'amore. Nel '52 Yvonne Sanson ritrova Alberto Lattuada per un capolavoro come «Il cappotto», torna in Francia per fare Milady nei «Tre moschettieri» di Andrè Hunebelle e consolida la sua fama l'anno successivo con «Tormento» ancora di Matarazzo ma questa volta grazie al solido copione scritto da Aldo De Benedetti. La vuole con se Luigi Comencini per una piccola parte in «Pane amore e gelosia» ma il suo destino da diva la porterà fino al bellissimo personaggio di Olga Manfredi in «Anima nera» (Roberto Rossellini, 1961) in cui finalmente si riconcilierà anche in Italia con la critica. Con questa pagina si chiude il momento di fulgore di Yvonne Sanson. Attraverserà gli anni '60 in modo sommesso con piccoli ruoli da un film all' altro fino a un ideale congedo dal cinema che le viene offerto da Bernardo Bertolucci nel 1970 con il ruolo della madre di Stefania Sandrelli ne «Il conformista».