di GIAN LUIGI RONDI IL RISOLUTORE, di F.

ANCORA Vin Diesel. Dopo averlo incontrato sulle stesse strade battute da Stallone e Schwarzenegger («Pitch Black», «Fast and Furious»). Oggi è un poliziotto delle narcotici, Sean Vetter, affiancato da un collega di cui è amico da sempre, Demetrius Hicks (il Larenz Tate dell'«Uomo del giorno dopo»). Indomito com'è, riesce a acciuffare un boss che gestisce il traffico della droga fra la California e il Messico. Lui in prigione, però, se ne fa avanti un altro, così cattivo da essere soprannominato «il diavolo». Sean non demorde, ma l'altro gli fa uccidere la moglie, così adesso il poliziotto ha una motivazione in più, la vendetta. E per compierla, come al cinema si è già visto spesso, diventa peggiore (o quasi) di quelli che contrasta. Mettendo in allarme i superiori. Sembrerebbe, anche se nota, la solita storia dell'onesto che, ferito nei sentimenti, si mette a sua volta contro la legge. In realtà F. Gary Gray, che ha diretto il film prima di «The Italian Job», uscito qui da noi proprio in questi giorni con intenzioni un po' più solide, pensando a Vin Diesel e ai generi in cui finora si era distinto, ha lasciato spazi, anziché alle psicologie, quasi soltanto all'azione. In primo piano, così, pronuba la droga e i suoi commerci clandestini, ci sono soprattutto inseguimenti concitati e, nei momenti chiave, delle sparatorie che sembrano non finire mai, tanto si insiste a descriverle, a seguirle e a metterle in risalto con i modi più affannati possibile. Arrivando quasi, per ottenerli, agli stessi accenti vertiginosi e martellanti di quei video musicali con cui il regista aveva a suo tempo esordito. Gli interpreti si adeguano. Nell'impossibilità di fare altrimenti.