CATHERINE ZETA-JONES

Mio marito Michael aveva fatto venire addirittura due medici perché il tempo è finito e in teoria potrei partorire da un momento all'altro, ma io ci tenevo ad essere presente e cantare in diretta, anche se ho quattordici chili in più. Sono davvero felice. Metterò il mio Oscar sulla mensola in mezzo ai due vinti da Michael. Ma il mio sarà messo un po' più avanti». Perché? Il suo vale di più? «Sì. Io me lo aspettavo, lo volevo, ci tenevo. È inutile menarsela tanto e andare per il sottile. Non sono sorpresa, sono felice, il che è diverso. Ho lavorato tanto per raggiungere questo risultato e in questi mesi c'era Michael che mi faceva discorsi psicanalitici per spiegarmi che i poveri maschietti sono costretti a inseguire il successo per bilanciare la propria castrazione all'idea di non poter fare figli, come a dire di accontentarmi del mio pancione. A lui gli Oscar a me i figli. Ma io non sono mica una vacca, e noi donne ci siamo evolute, era ora. Finalmente siamo in grado di essere talmente libere da poter pretendere figli, marito e gioie della famiglia in assoluto parallelo con carriera e promozione sociale». Il momento più bello di questa vittoria? «Il fatto che sia stato sir Sean Connery a dare l'annuncio e la statuette. Lui è stato il mio padre tutelare, mi ha stimolata, spinta, ispirata. Mi ha scoperta in un teatrino in Scozia e mi ha portata a Hollywood. Mi ha presentato a Michael Douglas che è l'uomo della mia vita. Mi ha commossa quando invece di declinare il mio nome per intero nell'annunciare il premio ha semplicemente detto "Catherine". Lo sanno tutti che io lo considero come un padre e sono la sua figlioccia che non dimenticherà mai tutto quello che lui ha fatto per me. Non è un caso che mia figlia si chiamerà Diane come la moglie di Sean Connery per rispetto a lui. Così si fa in Scozia. È il minimo che potessi fare. Questo premio è interamente dedicato a lui. Noblesse oblige». S. D. C.