Christian De Sica negli States ha iscritto il figlio Brando all'università

Il suo soggiorno negli Usa si è concluso fortunatamente prima dello scoppio della guerra, ma le tensioni dei giorni di preparazione al conflitto non sembrano avere intaccato la vita degli americani. Almeno in California. «Intendiamoci - precisa l'attore - io sono andato in America per ragioni strettamente familiari, le impressioni sulla guerra imminente non l'ho neppure cercate. Ho accompagnato mio figlio Brando, che ha cominciato a frequentare la LA University Century City, uno dei campus più famosi per i propri corsi sul cinema, che vantano insegnanti del calibro di Robin Williams, Steven Spielberg o George Lucas. Già dopo il primo anno gli studenti ricevono una telecamera con cui realizzare un video di 20 minuti. Un diploma in discipline cinematografiche preso lì, vale oro in tutto il mondo!». Suo padre girò con Sordi il celebre «Un italiano in America» per ridere un po' sul mito yankee. A lei, invece, che impressione resta dei suoi viaggi negli Usa? «Come le dicevo, Los Angeles è una "fregenona" enorme dove alle dieci e mezza di sera non trovi più nessuno in giro. Vanno tutti a dormire, oppure restano in casa e bevono come matti. Locali chiusi. Bel Air praticamente è un cimitero. Per vedere un po' di luci devi andare a Santa Monica, dove i ristoranti aperti sono - non a caso - gestiti da italiani. Gli dobbiamo insegnare tutto...(ride ndr)» Quindi la definizione di "italiano in America" a lei sta strettissima. «Assolutamente. Là non potrei viverci. Se avessi voluto farlo, avrei sfruttato l'opportunità che ebbi a 24 anni, quando nel 1977 andai a Los Angeles con Marco Risi per realizzare una serie di interviste televisive. E invece, niente. A me mancano i colori di un tramonto romano (anche se col cambiamento del clima oggi sembra africano) una cena sui tavoli all'aperto, la bellezza dello scorcio di un palazzo antico, o di una chiesa che non avevo mai notato. Insomma, a me m'ha fregato il capitello». D'accordo, Bel Air e il Sunset Boulevard sono un mortorio, ma le leggendarie ville hollywoodiane le ha viste? Le sono piaciute? «Nei giorni scorsi sono stato a cena nella villa di Dino De Laurentiis, che appartenne addirittura a Gloria Swanson. La cosa buffa è che da Dino sembra di stare in italia. Fin dall'ingresso le pareti sono tappezzate di poster e manifesti italiani, soprattutto con immagini di Capri. E poi la cena, a base di pàccheri al ragù, parmigiana di melanzane e cotolette alla milanese. Sembrava di stare a Mergellina!». E suo padre? Che rapporto aveva con i grandi del cinema americano? «Mio padre andò in America per cercare i soldi per "Ladri di biciclette", ma il magnate David Selznick (il produttore di "Via col vento" ndr) glieli promise a condizione che nel ruolo del protagonista prendesse Cary Grant. Ovvio che mio padre fece dietrofront e scelse, prendendolo dalla strada, Lamberto Maggiorani. Durante un viaggio successivo, poi, presentò ad una ristretta cerchia di cineasti il suo "Umberto D." Alla fine della proiezione, silenzio assoluto. Poi, con gli occhi umidi, Charlie Chaplin si avvicina a mio padre e gli sussurra: "De Sica, è ancora troppo presto per film come questo!"». Un'ultima cosa. Voi dovevate girare «Vacanze sul Nilo» a New York. Poi, la tragedia delle Torri Gemelle vi ha dirottato in Egitto. Tornerete in America per il vostro nuovo film di Natale?. «Quella di New York è stata un'esperienza terribile. Pensi che il nostro albergo era di fronte alle torri. No, lo shock è ancora troppo forte. Quest'anno dovremmo andare in Estremo Oriente, forse in India. Con Boldi ed io che ci esibiamo nel Kamasutra!».