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Coronavirus, i datori di lavoro non sono responsabili dei casi di contagio

Il governo salva i datori di lavoro: imprenditori non responsabile per i dipendenti infettati

Alessio Buzzelli
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“Circolari e dichiarazioni d'intenti, in questo caso, non possono certo bastare. Abbiamo bisogno di atti formali, di leggi e norme che chiariscano definitivamente, nero su bianco, la posizione del datore di lavoro nel caso in cui un dipendente contragga il Covid-19”. Resta ferma la posizione del mondo imprenditoriale italiano su uno degli argomenti più delicati e scottanti della così detta “Fase 2”, quello relativo alle responsabilità civili e penali che riguarderebbero le imprese nel caso in cui un dipendente venga contagiato sul posto di lavoro. Nei giorni scorsi il dibattito sul provvedimento - contenuto nell'articolo 42 del decreto Cura Italia, in cui si equiparava il contagio ad un infortunio sul luogo di lavoro - è stato quanto mai aspro, caratterizzato dalle dure proteste degli imprenditori nei confronti dei nuovi protocolli governativi, a loro dire tutt'altro che chiari e interpretabili ad libitum. Proteste che ben presto sono giunte al Ministro del Lavoro Nunzia Catalfo, la quale ieri l'altro, in occasione del question time, si è trovata costretta a dichiarare che l'interpretazione data al provvedimento fosse “non corretta” e che il Governo starebbe studiando “una norma per chiarire la situazione” e “superare ogni perplessità”. Il doveroso chiarimento da parte del Ministro è stato quindi accompagnato da una circolare dell'INAIL, nella quale l'Istituto di Previdenza Sociale ha cercato di rassicurare ulteriormente gli imprenditori, spiegando che il rispetto delle linee guida anti-contagio scongiurerebbe di per sé un coinvolgimento penale o civile dell'impresa. Ma né le rassicurazioni del Ministro Catalfo, né tantomeno la circolare dell'INAIL, alla fine, sono state sufficienti a placare gli animi degli imprenditori italiani, i quali oggi sono tornati a chiedere un intervento normativo veloce, chiaro e che non lasci adito a dubbi di sorta. “Pur apprezzando i chiarimenti di questi giorni – hanno fatto sapere da Confindustria Lombardia -, la circolare dell'INAIL, come tutti hanno capito, non norma niente. È solo un indirizzo, mentre noi avremmo bisogno di leggi e decreti attuativi in tempi brevi”. Sulla stessa posizione la Confesercenti Roma: “Sul rispetto delle linee guida siamo ovviamente d'accordo - ha dichiarato il Presidente Valter Giammaria – e proprio per questo crediamo che l'imprenditore non possa essere responsabile per il contagio di un dipendente. Al netto delle circolari, finché non ci sarà una legge scritta noi non ci sentiremo tranquilli”. Insomma, ciò che le imprese chiedono al Governo sono norme chiare e con forza di legge, in grado di sgomberare definitivamente il campo da interpretazioni fuorvianti, come spiegato anche da Bernardo Quaranta, Vicepresidente Unindustria: “rispetto al testo sibillino e scarno del Dpcm del 17 marzo, in cui si equiparava il contagio ad un infortunio sul lavoro lasciando spazio alle interpretazioni più disparate, la circolare dell'INAIL è stato senza dubbio un primo momento di chiarezza. Tuttavia – ha proseguito Quaranta – parliamo pur sempre di una circolare: sarebbe importante, invece, che il chiarimento avvenisse tramite un veicolo legislativo, perché questa è una materia delicata. Non ci può essere spazio per dubbi o interpretazioni”. Dunque è una legge ciò di cui ora le imprese hanno bisogno, anche perché, come ben spiegato da David Sermoneta, Presidente Confcommercio Centro di Roma, “una cosa è la verità, un'altra la verità giuridica. E nei tribunali prevale sempre la seconda: ecco perché circolari e dichiarazioni non possono bastare in questo momento. Noi imprenditori abbiamo bisogno di una norma certa, e ne abbiamo bisogno subito”.  

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