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Emergenza Coronavirus, l'ex senatore Domenico Gramazio: vanno aperte le cliniche già pronte a dare le cure

Dario Martini
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«La Regione Lazio sta sottovalutando l'emergenza coronavirus. Hanno coinvolto delle strutture che non sono in grado di affrontare l'aumento dei contagi a Roma e in provincia, mentre escludono quelle che potrebbero garantire risposte rapide ed efficaci». L'ex senatore Domenico Gramazio, ma soprattutto ex presidente dell'Agenzia di sanità pubblica del Lazio, ha il polso della situazione, ed è molto preoccupato. «Penso che quanto scritto da Il Tempo nel suo titolo d'apertura, ovvero che "a Roma non la contano giusta", corrisponda a realtà». Gramazio si riferisce al fatto che da giorni cresce l'allarme sui contagiati ma i numeri ufficiali restano bassi. E si tarda anche a registrare il numero dei malati. Un problema serio, soprattutto perché «le misure messe in campo sono insufficienti». Si riferisce ai posti letto nei reparti di Terapia intensiva? «Certo. Il ministro della Sanità ha detto che serve un aumento dei posti del 50%. Eppure sono solo 1.000 tra Roma e provincia e 500 nel resto della regione». Però il governatore Zingaretti, prima di finire in quarantena perché positivo al Covid-19, ha annunciato 150 posti in più... «Appunto, non sono certo sufficienti. Si sarebbe dovuto puntare su ciò che già esiste». A cosa si riferisce? «Proprio oggi la direzione dell'azienda ospedaliera San Camillo ha lanciato un appello contro la riapertura del Forlanini, sostenendo che è inadeguato. Quando invece è esattamente il contrario. Il terzo piano del Forlanini potrebbe essere subito adattato per curare i pazienti col coronavirus. È il piano dove lavorava il primario Massimo Martelli, punto di riferimento per l'intera regione. Sono state già raccolte centomila firme per la riapertura del Forlanini. E i vertici regionali cosa fanno? Ricorrono alla direzione del San Camillo perché sono in difficoltà». Perché secondo lei? «Perché esiste un accordo per consegnare il Forlanini alle ong. Intanto Zingaretti e l'assessore regionale alla Sanità, Alessio D'Amato, aprono una clinichetta fino all'altro giorno considerata inadeguata». Parla dell'istituto di Casalpalocco? «Certo, è una piccola clinica che perdeva milioni tutti gli anni, considerata dalla stessa Regione inadeguata. Ora invece le si dà qualche posto letto per affrontare il coronavirus. Poi c'è il problema della provincia». Di cosa è preoccupato? «Si dice che la prossima settimana, attorno al 25 del mese, si raggiungerà il picco dell'epidemia. E nella provincia di Roma, in particolare ai Castelli romani, non c'è una struttura aperta che possa affrontare l'emergenza. Perché allora la Regione non autorizza una struttura come il San Raffaele di Velletri? Una clinica già pronta che garantirebbe subito le cure necessarie. Lo chiedono molti consiglieri comunali da tutti i Castelli. Invece non si muove nulla. L'assessore D'Amato dovrebbe andare in commissione Sanità a dare spiegazioni». La Regione, ha aperto anche altre strutture a Roma. Come l'Eastman e la Columbus. Non basteranno? «Se il ministro Speranza dice che serve il 50% in più dei posti di terapia intensiva, è evidente che non sono sufficienti. Ricordo che la Columbus stava in grandi difficoltà ed è quasi in disuso. Poi ripeto: la provincia resta scoperta. Se il picco arriverà il 25 marzo faranno prima di noi gli Alpini a montare il loro ospedale da campo a Bergamo». A Roma vengono fatti i necessari controlli? E i dati ufficiali sui contagi sono corretti? «Anche io penso che i contagiati siano molti di più di quelli che ci raccontano. Mi sono arrivate segnalazioni di persone con sintomi che hanno contattato le Asl territoriali di competenza e hanno atteso anche tre giorni prima di essere controllate. A Roma vivono moltissimi over 65. Corriamo grossi pericoli».

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