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Dubbi, incertezze e timori di chi studia all'estero

Le difficoltà di una ragazza italiana a Boston, dove il contagio è ancora lontano

Giulia Marino
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]L'anno scolastico all'estero è per definizione una occasione di crescita, il momento della vita in cui chi vi partecipa impara a confrontarsi con le sfide, piccole e grandi, del mondo moderno, senza la rete di protezione della propria famiglia. Tuttavia, di solito, una pandemia globale non rientra tra queste. Noi studenti del 2020, invece, potremo aggiungere anche questa alla lunga lista di difficoltà che avremo affrontato durante il nostro anno all'estero. Il Coronavirus è una sfida già difficile per chi è a casa con la propria famiglia, immaginiamoci per chi è a migliaia di chilometri da casa con una famiglia che non è la propria, cercando di comprendere un sistema d'immigrazione che non è il suo. Provvedimenti da ogni nazione, stato, provincia, scuola e singola agenzia o organizzazione internazionale si accumulano per creare sempre più confusione. Le domande, però, alla fine sono sempre le stesse. Interromperanno il programma di scambio? Cosa succederà se la mia scuola ospitante chiuderà? Perderemo l'anno scolastico? Come torneremo a casa a fine anno se le frontiere saranno ancora bloccate? Anche gli enti e le società cui gli studenti exchange si sono affidati per organizzare il loro anno di mobilità internazionale possono fornire ben poche certezze. Sebbene infatti la maggior parte di esse abbia pluriennale esperienza in questo campo e procedure rodate per affrontare ogni tipo di emergenza, sono impotenti di fronte all'eccezionalità delle circostanze, e di fatto lasciano questi ragazzi a «navigare» da soli la situazione senza sapere bene a chi rivolgersi. All'improvviso tutti i consigli che sono stati dati nei mesi precedenti alla partenza non sono più validi. Se prima si diceva «cercate di stare con i vostri amici il più possibile» e «partecipate a tutti gli eventi che la scuola propone» adesso viene detto di limitare i contatti al minimo ed evitare i grandi assembramenti di persone. Il risultato di tutto questo è un grande sgomento e la sensazione che quello che per molti è il sogno di una vita stia andando sprecato. Aggiungere questi sentimenti di sconforto in una situazione che è già emotivamente difficile, non sarebbe una situazione facile per nessuno, tantomeno per dei ragazzi che devono ancora compiere la maggiore età. Alcuni studenti tedeschi che hanno preso parte al programma grazie a una borsa di studio fornita dal governo sono stati richiamati in Germania e torneranno a casa nei prossimi giorni. Molti genitori, vista la gravità della situazione, stanno considerando di far rientrare i figli anche senza un'interruzione forzata ufficiale del programma. Tuttavia non si tratta di una decisione da prendere alla leggera, perché l'abbandono del programma di scambio senza autorizzazione potrebbe comportare la perdita dell'anno scolastico, da lì nasce il timore dell'ipotesi che il governo italiano possa richiamare in patria gli studenti internazionali. Nel frattempo, nei paesi ospitanti in cui il virus sembra non essersi ancora diffuso, i compagni di scuola e le famiglie non comprendono l'agitazione degli studenti italiani, che stanno già vivendo gli effetti del Coronavirus in Italia tramite amici e parenti. Non si ha la stessa consapevolezza che c'è in Italia e il problema viene ancora minimizzato. Il contagio, qui a Boston, per esempio, sembra ancora lontano, nonostante già da qualche giorno il Massachusetts abbia dichiarato lo stato di emergenza a causa dell'accertamento dei primi casi nello Stato, che adesso ammontano a 123. Le scuole della città sono chiuse fino al 27 aprile, imitando dozzine di altri distretti scolastici nello Stato che hanno chiuso le scuole a lungo termine. Tuttavia, una situazione come quella dell'Italia, e della Cina prima di questa, è ancora impensabile nelle menti della maggior parte degli americani. Quindi, se da un lato l'incertezza data dall'evolversi degli eventi desta ogni giorno non poche preoccupazioni negli studenti internazionali, quello che colpisce di più è come la situazione viene sottovalutata da chi non ne ha ancora sperimentato gli effetti. E mentre si assiste impotenti alla continua violazione delle direttive per la prevenzione del contagio, la sensazione è quella di trovarsi sulla riva dell'oceano in attesa di un inevitabile tsunami.

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