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Coronavirus, che ipocriti sullo Spallanzani

Ministri e politici tutti a fare complimenti ai virologi che ieri hanno isolato il micidiale coronavirus. Ma da anni lasciano senza fondi per la ricerca l'istituto di Roma che scoprì pure il virus dell'Ebola

Antonio Sbraga
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Sarà forse colpa del destino scritto in quel nome, Lazzaro, ma per l'Istituto Spallanzani si attende il "miracolo" ogni volta che c'è un'emergenza sanitaria. Anche se non sempre gli viene riconosciuto il merito dalla Regione Lazio, che negli ultimi anni ha lesinato sulla concessione di mezzi e dotazioni al suo istituto per le malattie infettive. A partire dai rimborsi inferiori per le prestazioni effettuate per Hiv e Tubercolosi, ma anche per i mancati «finanziamenti per la ricerca che fanno i nostri medici: ai policlinici universitari vengono riconosciuti, ma a noi no», come lamentava la stessa direttrice generale dello Spallanzani, Marta Branca, in un'intervista concessa nel settembre 2018 a "Il Tempo". Nella quale la manager ha spiegato anche che «il tariffario regionale per il rimborso delle prestazioni di laboratorio non remunera per intero i costi sostenuti per eseguire le prestazioni. Vi è infatti un'ampia lista di esami, principalmente di tipo molecolare, che vengono eseguiti con metodiche innovative che comportano costi ben superiori a quelli previsti nel tariffario della Regione. Per le tubercolosi, ad esempio, le tariffe regionali per le nostre prestazioni coprono i costi di una degenza media di 16 giorni a fronte di una media effettiva spesso superiore a 30 giorni». E quei costi finiscono così per gravare sul bilancio dell'Istituto: nell'ultimo le perdite sono arrivate a 17 milioni e 39 mila euro, mentre nel 2017 erano state di 21 milioni e 416 mila euro. Proprio allora lo Spallanzani spiegò che quel risultato negativo era «stato aggravato dal mancato riconoscimento - da parte della Regione - di ricavi da File F per Hiv, per un importo pari a 2 milioni e 712 mila euro». Ossia il mancato rimborso degli alti costi dei farmaci particolari usati nel nosocomio, dove viene curato «il 90% di malati Hiv-Aids». Oltre ai mancati rimborsi per le cure degli extracomunitari, come i costi sostenuti dallo Spallanzani per l'acquisto dei «farmaci Hcv per un importo pari a 619 mila euro (gli uffici regionali hanno confermato di non aver potuto riconoscere quei farmaci erogati agli stranieri non residenti in Italia, il cui costo rimane a carico dell'Istituto e, ovviamente, non trovando alcuna copertura pregiudica il risultato d'esercizio)». Un problema che ora rischia di riproporsi per l'attribuzione dei costi dei degenti di nazionalità cinese. Lo Spallanzani, poi, negli ultimi 2 anni «non ha mancato di rappresentare alla Regione che dovrebbe essere preso in considerazione anche il criterio della distribuzione dello stabilimento di ricovero su più padiglioni con vincolo architettonico». Perché «alcuni costi generali, come ad esempio l'energia elettrica, il riscaldamento, la pulizia, la vigilanza, la manutenzione degli immobili, incidono notevolmente sul bilancio per la particolare configurazione del complesso immobiliare articolato in 20 edifici, con una superficie coperta di oltre 37.000 mq e una superficie complessiva di circa 125.000 mq a fronte di una dotazione di soli 182 posti letto». Nel 1936, quando fu inaugurato, lo Spallanzani aveva «una dotazione di 296 posti letto»: in 84 anni di vita ne ha perduti 114. E, nonostante il Ministero della Salute l'abbia identificato, sin dal 2003, «polo nazionale di riferimento per il bioterrorismo e per la Sindrome respiratoria acuta grave (Sars)», mancano 24 medici (sono 111 su una dotazione organica di 135) e altre 16 figure di personale sanitario, per una carenza totale di 40 operatori (sono 542 a fronte dei 582 previsti).

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