SALVATORE CAMPO NEI GUAI

Ai domiciliari l'icona antiracket

Andrea Ossino

Trasformava diritti in privilegi garantiti solo a chi pagava.  Chiedeva denaro alle vittime di estorsione. Ecco perché Salvatore Campo, presidente dell’Associazione Antiracket “A.SI.A”, è ai domiciliari. L’indagato, classe 1943, è nato a Lentini, in provincia di Siracusa, un territorio martoriato dalla criminalità organizzata. Le persone che si rivolgevano erano cittadini che avevano detto no alla mafia, che avevano visto uccidere i propri parenti. Avevano avuto il coraggio di denunciare, ma si erano trovati a subire una nuova angheria. Secondo il gip di Catania Anna Maria Cristaldi, che ha anche disposto il sequestro di 36 mila euro, Campo avrebbe convinto alcune vittime di usura a consegnargli denaro. Per farlo prospettava che, “in caso di mancata accettazione delle condizioni economiche imposte, sarebbe andato incontro a difficoltà nella trattazione della pratica avanzata (…) ad allungamento dei tempi di evasione della stessa e comunque a un diverso atteggiamento e attenzione da parte del Campo nel seguirlo nell’espletamento della pratica”. Alcune vittime si opponevano. Come quel commerciante che anni prima aveva combattuto contro le fiamme che avevano avvolto il suo locale quando aveva detto no al pizzo. Altri invece hanno pagato: “per il maledetto bisogno ho versato i soldi all’associazione”, racconta una persona che si era rivolta a Campo. Ecco: “già vittime di usura o estorsione, rivoltisi al Campo, per ottenere assistenza, erano nuovamente destinatari di richieste di denaro da parte di quest’ultimo e assecondavano le sue pretese per il timore di non essere seguiti nella predisposizione dei documenti necessari alla pratica per ottenere il risarcimento loro spettante”. Tra loro c’è la signora Franca, a cui sono state estorte 1500 euro. O una sua parente: 3000 euro. “Ho percepito in modo chiaro che se non avessi accettato le sue condizioni sicuramente avrei avuto molte difficoltà per accedere ai fondi previsti per le vittime di reati di usura ed estorsione”, racconta una vittima che aveva una netta sensazione: “se non avessi accettato le sue condizioni certamente la Prefettura di Catania avrebbe trattato in maniera diversa la mia pratica in quanto lui ha agganci diretti con i funzionari della stessa Prefettura”. I soldi venivano dati anche nei bar, in buste chiuse. E se c’erano ritardi erano problemi: “Che dobbiamo fare? – chiedeva retoricamente, nel dicembre scorso, Campo a una vittima - il mio lavoro deve essere soddisfatto…per me è lavoro…Le cose prioritarie le deve fare! Perché è nel suo interesse…quando lei mi tratta male cosa conclude? Si ritorce solo su di lei…faccia come crede..”. Insomma il meccanismo è chiaro: “Campo chiedeva indebitamente una dazione di denaro a chi si rivolgeva a lui per l’avvio di pratiche di indennizzo e nel caso in cui detta dazione fosse rifiutata o ritardasse ad essere corrisposta, minacciava l’abbandono della pratica”. “L’importo richiesto da Salvatore Campo per la predisposizione delle istanze risarcitorie era stato pari ad una cifra compresa tra il 3% e il 5% delle somme che sarebbero state pagate a titolo di indennizzo”, si legge negli atti. Una vittima che aveva ricevuto dallo Stato oltre 1 milione e 300 mila euro in tre diverse trance ha spiegato agli inquirenti “per ogni importo percepito versavo una somma di denaro al Campo. (…) a titolo di contributo volontario, di solito tra i 2 mila e i 3 mila euro. Contestualmente versavo anche un altro importo, questo con assegno, direttamente a Salvatore Campo a titolo di parcella per l’attività svolta nella predisposizione delle richieste risarcitorie (…) Credo di aver versato all’A.SI.A e al Campo una somma oscillante tra i 12 e i 15 mila euro”. Ovviamente i soldi dell’associazione sembravano essere il conto personale del Presidente Cuomo: “se ne appropriava – si legge negli atti – utilizzandole per fini esclusivamente personali fino all’ammontare di 72 mila e 862 euro”. E all’occorrenza avrebbe commesso anche un falso: insieme al dottor Pepi Liborio avrebbe attestato che una persona fosse in cura dal medico “sin dagli anni ’80 e che a seguito degli eventi subiti negli anni ’90 avesse riportato una patologia diagnostico come ‘depressione maggiore’”