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Valentina Pitzalis, si riapre il caso: riesumata la salma del marito Manuel Piredda

Angela Di Pietro

Questa mattina, alle dieci, alla presenza dei carabinieri di Gonnesa e del Ris di Cagliari è stata riesumata la salma del manovale ventisettenne Manuel Piredda, morto in circostanze drammatiche nella notte fra il 16 ed il 17 aprile 2011 ad Bacu Abis (Carbonia). In un silenzio carico di strazio da parte dei genitori del giovane sardo, Roberta Mamusa e Giuseppe Piredda, la bara con il corpo carbonizzato di Manuel è stata trasferita dal piccolo cimitero di Gonnesa al policlinico di Monserrato. Domani mattina saranno compiuti i rilievi tecnico-scientifici richiesti dalla Procura di Cagliari: una tac multistrato, un test con glifocorina e gli esami tossicologici. Presenti al momento della riesumazione l’avvocato della famiglia Piredda Flavio Locci e la criminologa che segue il caso, Elisabetta Sionis. Saranno esaminati anche gli abiti che il giovane Piredda indossava al momento del decesso e con i quali è stato sepolto. La riesumazione del corpo del giovane rientra nell’inchiesta aperta un anno fa in seguito alle richieste della famiglia del defunto, che ha sempre espresso dubbi sulla ricostruzione dei fatti rilasciata dall’unica testimone presente al momento della morte di Manuel Piredda; Valentina Pitzalis, ex moglie della vittima, il volto sfregiato dalle ustioni, è diventata il simbolo delle donne offese dalla furia di uomini incapaci di accettare la fine di un amore. La donna ha sempre raccontato di aver raggiunto la casa dall’ex marito su sua richiesta e di essere stata aggredita da lui con un annaffiatoio pieno di benzina. Quando, poco dopo la mezzanotte del 17 aprile di sette anni fa, i vigili del fuoco sono entrati nell’appartamento in cui viveva lui, in viale della Libertà 8 a Bacu Abis, Valentina Pitzalis si contorceva tra le fiamme, l’ex marito era disteso, in posizione fetale, vicino alla porta d’entrata. Morto carbonizzato. La signora Pitzalis aveva dichiarato di aver subìto l’aggressione di lui. L’inchiesta era stata aperta e poi chiusa per morte del “reo”. I giudici avevano ipotizzato che Piredda avesse voluto suicidarsi, dopo aver tentato di uccidere l’ex moglie. Una equazione tuttavia non ha mai convinto i genitori del ragazzo morto: lui vuole dare fuoco a lei, ma lei si salva e lui muore carbonizzato? “Qualcosa non torna” hanno ripetuto i familiari della vittima, sorretti da un testimone che ha rivelato di aver notato i segni di un trauma cranico sul capo del giovane defunto. La battaglia della famiglia Piredda è stata sostenuta sulla Rete da migliaia di “followers”.  La prima indagine fu basata sulle dichiarazioni della signora Pitzalis e da accertamenti di tipo tecnico che non contemplarono tuttavia l’esame autoptico per la vittima. Moglie e marito si erano separati un mese prima e quella sera di aprile lei era corsa a casa dell’ex coniuge per portargli un documento. “Mi rovesciò addosso il contenuto di un annaffiatoio rosso e capì che voleva uccidermi” disse Valentina Pitzalis. Piredda fu inumato e la sua biografia si chiuse in termini drammatici. La Pitzalis ha scritto un libro, “Nessuno può toglierti il sorriso” ed ha partecipato a convegni, manifestazioni, dibattiti, proponendo la sua terribile esperienza. A distanza di sette anni l’inchiesta sulla morte di Manuel Piredda è stata clamorosamente riaperta, su sollecitazione della madre del giovane, Roberta Mamusa, che si è avvalsa della collaborazione di medici legali, avvocati e criminologi. L’indagine, vale la pena chiarirlo, non costituisce un atto di accusa contro Valentina Pitzalis ma risponde ad un quesito (della famiglia di lui) al quale i giudici possono rispondere soltanto aprendo un fascicolo e lasciando il compito di chiarire l’enigma a periti propri, non di parte. Così è successo e proprio nei giorni scorsi i legali dalla famiglia Piredda hanno lamentato una campagna mediatica che a loro avviso occulterebbe la verità dei fatti: che insomma Valentina Pitzalis è indagata con l’ipotesi di reato di omicidio. Un atto dovuto, indispensabile se non altro a chiarire in termini definitivi si spera come andarono i fatti sette anni fa. Nell'ambito dell'incidente probatorio, il 13 febbraio scorso si è svolta la perizia sul telefono cellulare che la ragazza ha dichiarato di avere in possesso la notte dell'accaduto. Il giudice ha chiesto un'integrazione alla perizia sul cellulare in relazione a tutti gli elementi emersi in sede di incidente probatorio. È del 27 marzo scorso invece la perizia sulle ustioni di Valentina Pitzalis, effettuata presso l'istituto di Medicina legale di Sassari, atta a stabilirne la compatibilità con quanto da lei descritto. La storia d’amore fra gli ex coniugi era nata come una passione ribelle e si è chiusa come l’italica versione della “guerra dei Roses”. I termini di quella maledetta notte (maledetta per tutti e due i protagonisti) meritano un chiarimento finale.