dopo 31 anni

Ergastolo a Stefano Binda per l'omicidio di Lidia Macchi

Carlo Antini

I giudici della Corte d'assise di Varese hanno condannato all'ergastolo Stefano Binda, il cinquantenne di Brebbia unico imputato per il delitto di Lidia Macchi, la studentessa ventenne di Comunione e Liberazione uccisa con 29 coltellate il 5 gennaio 1987. La sentenza arriva 31 anni, 3 mesi e 19 giorni dopo la morte della ragazza nel bosco di Cittiglio. A leggere il verdetto, al termine di tre ore di camera di consiglio, è stato il giudice Orazio Moscato, che ha escluso le aggravanti per futili motivi e abietti. L'accusa è di omicidio volontario aggravato dalla crudeltà. La madre di Lidia, Paola Bettoni, era presente in aula con i figli Stefania e Alberto. "Spero si siano chiarite un po' le cose, perché una ragazza come Lidia non poteva morire in questo modo - ha detto ai giornalisti -. Io ho sempre chiesto il colpevole, non uno a caso". E a chi le domandava se Stefano Binda è il colpevole o se le sia rimasto qualche dubbio in proposito, la donna ha risposto: "Da quello che è venuto fuori durante il processo, penso che sia lui". La conoscenza tra Lidia e Binda risale agli anni '80. Entrambi frequentavano il liceo Cairoli, ma in classi diverse. Il caso svolta a gennaio 2016 quando, 29 anni dopo il delitto, Binda finisce in manette. L'inchiesta, rimasta per decenni a un punto morto, viene riaperta grazie a un giornale locale che entra in possesso di una lettera recapitata a casa Macchi il giorno dei funerali. La missiva contiene una poesia intitolata 'In morte di un'amica", testo-confessione che incastra Binda: un'amica riconosce la calligrafia dell'uomo e il corpo di Lidia viene riesumato. Il 24 aprile 2018, oltre all'ergastolo, Binda è stato interdetto dai pubblici uffici e condannato a pagare una provvisionale di 200mila euro per la madre della ragazza e di 80mila euro ciascuno per la sorella e il fratello. "Ci stupisce la sentenza e siamo convinti che sia ingiusta", commenta l'avvocato Sergio Martelli, legale di Binda. "Avevamo rivoltato come un calzino tutto questo lunghissimo processo che parte da 31 anni ad oggi. Noi non abbiamo trovato elementi di condanna", continua il difensore, che assicura: "Ribatteremo finchè potremo".