«Don Ciotti mi ha cacciato da Libera con un sms»
Lo hanno cacciato con un sms, allontanandolo da «Libera», l’associazione antimafia di don Luigi Ciotti, senza spiegazioni. Non ne comprende il motivo Franco La Torre, figlio di Pio, il leader del Pci siciliano ammazzato dalla mafia 33 anni fa. Eppure, dopo quel messaggino in cui gli si comunicava che il rapporto di fiducia con la «creatura» di don Ciotti era venuto meno, ha cercato di avere una risposta, ricavandone solo silenzio. Forse la sua «colpa» è stata quella di aver messo in dubbio i metodi del fondatore, o di aver puntato il dito sulla difficoltà dell’associazione di comprendere la «nuova mafia». Di certo c’è che il «siluro» che lo ha colpito dimostra, ancora una volta, il cattivo stato di salute di una certa antimafia. La Torre, la rottura con Libera è stata inaspettata. Perché ha lasciato? In realtà sono stato liquidato con un sms nel quale mi si diceva che era venuto meno il rapporto di fiducia anche con l'ufficio di presidenza, di cui faccio parte da quattro anni. Leggendolo sono rimasto allibito. Ha cercato di contattare don Ciotti per aver una spiegazione? Certo, ho scritto a lui sollecitando un incontro e dopo una settimana senza ricevere risposte ho scritto anche all'ufficio di presidenza. Niente, solo silenzio. E così ho rimesso l'incarico. Solo allora ho ricevuto un secondo sms, nel quale mi si comunicava la presa d’atto delle mie dimissioni, che però erano state la conseguenza del loro lungo silenzio. Perché si è giunti a una spaccatura così sorprendente? Libera è cresciuta in maniera straordinaria in questi 20 anni grazie a don Luigi, ma nel frattempo l’ambiente è cambiato. Non sono più gli anni ’90, la mafia non ha più coppola e baffetti, ma opera nel grande mercato della finanza globale. Ma è cambiata anche l'antimafia, e disgraziatamente la mafia certe volte si nasconde dietro uno scudo di antimafiosità, come dimostra l’inchiesta palermitana sui beni confiscati. Tutto ciò richiede a Libera una capacità di adattamento e di governo molto diversa, che invece è mancata. E questo pone, inevitabilmente, un problema di formazione della classe dirigente dell’associazione, che deve dimostrare di sapersi adeguare alla sfida. In poche parole Libera non ha avuto la capacità di adattarsi al mutamento della mafia? Non ci andrei così con l'accetta. Ci sta lavorando, nessuno ha la formula magica. Ma se lei riconosce all’associazione il merito di provarci, perché l’hanno cacciata? Per un tratto caratteriale. La guida carismatica impersonifi cata da don Luigi, come dimostrano le cose straordinarie che ha realizzato, ha molte luci, ma anche tante ombre. Innanzitutto il suo atteggiamento paternalistico verso quella gente che lui ha accolto e che, ovviamente, non ha mai messo in discussione la sua figura. Ciò ha prodotto il carattere autoritario di don Ciotti. Ma in un'associazione che si evolve, dialettica e confronto sono necessari. Io ho avuto la colpa di averlo segnalato all’assemblea generale di Libera del 7 novembre, quando ho anche evidenziato lo smarrimento della capacità di osservare il fenomeno mafioso, che ci ha ridot ti ad apprendere solo dai giornali di Mafia Capitale e di ciò che c’era dietro la gestione dei beni confiscati. Tutto ciò dimostra l’esistenza di un rischioso deficit di democrazia. Questo è solo l'ultimo di una serie di episodi che hanno messo in discussione una certa antimafia. Anche in passato contro la mafia spesso è mancata la capacità di fare fronte comune, perché c’è chi è convinto di essere il più bravo di tutti e chi pratica l’antimafia solo il 30 aprile, giorno della commemorazione dell'uccisione di mio padre. Se potesse parlare con don Ciotti, cosa gli direbbe? Io so di non aver fatto nulla che possa aver danneggiato Libera, perciò dico a don Luigi: chiariamoci, siamo persone adulte. Forse non ci troveremo d'accordo e le nostre strade si divideranno per sempre. Può accadere, ma parliamoci.