La scelta di Catia per salvare vite
È il nostro Soldato Jane. Catia Pellegrino ha 37 anni e non si prende sul serio. Originaria di un piccolo paese in provincia di Lecce, lentiggini e umore deciso è la prima donna al comando di una nave della Marina Militare Italiana. È scesa da qualche tempo dal pattugliatore Libra, imbarcazione impegnata nella missione Mare Nostrum, a 80 miglia marine a Sud di Lampedusa. Qualcuno la conoscerà per la docufiction andata in onda su Rai3 "La scelta di Catia", altri la conoscono per aver soccorso più di 3mila vit e e fatto nascere una bambina a bordo, salvandola dalle acque del canale di Sicilia. Una donna, un orgoglio per il nostro paese che opera al confine meridionale dell'Occidente. Una sentinella dal volto umano posta a guardia delle porte culturali del Mediterraneo. Un viaggio emozionante in cui l’adrenalina dei soccorsi spazia al confine tra la vita e la morte. Quando i marinai la vedono salire a bordo del Libra per la prima volta, capiscono subito di trovarsi di fronte a un momento storico. Oggi la stanno aspettando al Festival delle Storie nella Valle di Comino. Che idea si è fatta? «Amo le favole e mi affascina molto il sue essere itinerante. Mi dà l’idea di qualcosa che viene da altri tempi. Una storia che parla di libri e di persone. Che lascia lo spazio e il tempo di raccontarsi, di raccontare le storie di vita, come nel mio caso, o di fantasia». Qual è la sua storia? «“La scelta di Catia” (Mondadori Electa, 2015, 199 p.) questo il titolo che darei alla mia storia. Vi si racconta una ragazza che ha creduto in un sogno, iniziato ormai 15 anni fa. La storia di una donna comandante di una nave. Il libro è il diario di bordo dell'anno tra scorso da tenente di vascello al comando del Libra». Crede nel destino? «Credo che ognuno sia artefice della propria fortuna. Che il caso vada vissuto nel modo giusto e le occasioni che ti si mostrano davanti vadano colte». Come ha scelto di entrare in Marina? «Lo racconta il mio diario. Un racconto che dà voce a tutta la Marina Militare, ne fa conoscere il volto meno noto e ne trasmette i valori, ma parla soprattutto di me. Ripercorre le tappe fondamentali della mia carriera accademica e professionale caratterizzate dell'impegno costante per coronare il mio grande sogno: volevo arrivare al vertice, e ho lavorato per avere quello che più di ogni altra cosa desideravo. Comandare un pattugliatore». Com'è conquistarsi il comando di un’imbarcazione impegnata in una missione umanitaria nel Mediterraneo? «Faticoso. Il Libra è il comando più ambito per i tenenti di vascello. L’obiettivo principale. Devi dare il massimo, devi guadagnartelo. Devi essere un po’ più speciale degli altri». È stata la prima donna a comandare una nave della Marina, come ci si sente a essere il “nostro Soldato Jane”? «Sono dell’idea che non devono esistere barriere all'ingresso per un uomo o una donna. Ma non sono d’accordo sulle quote rosa. Quando l’ingresso dipende dal tentativo di avere una donna a tutti i costi, allora non ci sto. Perché credo semplicemente che con lavoro e fatica si arriva ovunque. Così si sale al top. Sono contraria a una parità a ogni costo». A proposito di Soldato Jane. È di pochi giorni fa la notizia che anche i Rangers americani aprono alle donne. Il capitano Kristen Griest e il tenente Shaye Haver entrano ufficialmente nella storia per essere le prime ragazze a mettere piede nel corpo. Cosa direbbe loro? «(Ride) So che si fa molta fatica, un po’ come accade nei nostri corpi speciali». Cosa si prova a salvare vite in alto mare durante un’operazione lunga mesi senza mai toccare terra? «Quando ti capita di salvare una vita in mare, al momento non pensi che stai salvando una vita: ti concentri sul fatto che quella cosa che stai facendo deve essere fatta al meglio. A quel punto ti dedichi un momento e ti lasci andare a quello che hai fatto. E quel pensiero spiega tutti i sacrifici sopportati: le lunghe giornate lontano dagli affetti, tutte le rinunce alla famiglia e alla tua casa». Scenderebbe in politica? «Mai dire mai! Non ci ho mai pensato, ma non lo escludo a priori». Il rischio emergenza umanitaria era alto quando è scesa dal Libra lo scorso ottobre. Pensa che la situazione oggi sia peggiorata? «Non parlo di peggiorata o migliorata. Parliamo di numeri incredibili di persone. Il comandante di una nave cui viene segnalato un soccorso, non sta lì a dire se la situazione è peggiore o migliore del giorno prima. Ci sono degli ordini, si lavora giorno dopo giorno, è la tua missione, è quella che dura un tot e che tu cerchi di fare al meglio senza guardare i numeri. Ciò che conta sono le persone che riesci a salvare in quell'istante, in quella missione». Qual è stato l'intervento di cui va più orgogliosa? «Il naufragio dell’11 ottobre 2013. Quel giorno abbiamo salvato più di 200 persone dall'acqua. Non lo dimenticherò mai».