"Ecco la mia verità sul video col rom"

Fulvio Benelli ha quasi 40 anni, un cassetto pieno di contratti precari e una figlia piccola. C’è chi lo chiama «ragazzotto» ma lui ci tiene a sottolineare che «è dal 1996 che faccio il giornalista». Il curriculum è di tutto rispetto: reportage per Al Jazeera International e Servizio Pubblico, interviste esclusive come quella a Ernesto Diotallevi su Mafia Capitale per ilfattoquotidiano.it o quella al pm Di Matteo subito dopo le minacce di Riina (servizio andato in onda a Linea Gialla su La7). Sua è anche una delle ultime interviste, contenuta nel documentario Le radici del cielo, a padre Paolo Dall’Oglio, poco prima che venisse rapito dal suo monastero in Siria. Insomma quello che si dice «un professionista di tutto rispetto». Eppure da un paio di settimane Fulvio è quello del «finto rom». Licenziato in tronco da Mediaset-RTI dopo che Striscia la Notizia, il 12 maggio, ha mandato in onda un servizio su un suo presunto «tarocco» mostrato da Quinta Colonna il 27 aprile. La cosa veramente curiosa è che il tg satirico di Antonio Ricci ha intervistato «l’accusatore» di Fulvio, un ragazzo di origine rom che dice di essere stato pagato per vestire i panni dell’islamista radicale e per fingere di rubare un’auto, ma non gli ha mai dato la possibilità di replicare. Né lo hanno fatto i vertici dell’azienda. Hanno mandato in onda sue telefonate registrate con il «rom polivalente» (così l’ha ribattezzato Striscia) ma nel «processo mediatico» è mancato il contraddittorio. Anche per questo Fulvio ha deciso di raccontare in esclusiva a Il Tempo la sua verità.     Partiamo dalla domanda centrale: la ricostruzione del tg satirico è vera? Ha pagato per realizzare finti servizi? «No, io non ho mai pagato. A questo ragazzo che mi accusa ho offerto al massimo un pranzo da McDonald’s. Anche Striscia si è dissociata dicendo che "è lui a parlare di soldi"».     Però i servizi erano taroccati? «Anche qui la ricostruzione fatta da Striscia è piena di imprecisioni. C’è chi parla di "finto rom", qui siamo davanti ad un vero rom e ad un vero truffatore».     Quindi lei è vittima di una truffa? «Assolutamente. Le dico solo che da sempre mi occupo di emarginazione, periferie. In molte occasioni sono stato insultato, picchiato. Per Quinta Colonna ho girato 80 servizi. Se avessi voluto taroccare qualcosa lo avrei fatto da tempo. E mi sarei messo d’accordo con un amico fidato».     Benissimo. Fulvio Benelli, salga sul banco degli imputati e ci fornisca la sua versione. «Tutto inizia nei primi giorni di aprile. Per la precisione il venerdì santo. Mi trovo in provincia di Treviso quando ricevo una telefonata di Mario Giordano, direttore del Tg4».     Che le chiede? «È il giorno dopo l’uccisione di 148 studenti in Kenya. Vuole che vada a Venezia a cercare islamici moderati e radicali e realizzi un vox populi».     E lei parte. «Decido di andare a Mestre. E arrivo davanti alla moschea proprio mentre stanno uscendo dalla preghiera del venerdì. Raccolgo diverse opinioni "moderate", poi mi dirigo nel quartiere dietro la stazione. Lì la situazione è più calda e ad un certo punto mi si avvicina un tizio e mi dice: intervista me».     Che tipo è? «Lì per lì non noto nulla di strano. Gli chiedo chi sia e cosa voglia dirmi. Mi spiega di essere tunisino e che l’Islam fa bene a uccidere gli infedeli. Però mi chiede di filmarlo di spalle. Lì per lì non do molto peso alla richiesta. È una delle tante voci raccolte. Prima di andare via, però, mi ferma e mi dice che può raccontarmi altre cose, di chiamarlo. Gli do il mio numero e vado a montare il servizio che viene spedito a Roma e, dopo essere stato visionato, mandato in onda».     Ma veramente non ha notato nulla di strano? «Vuole la verità. Io le sue immagini non le avrei neanche inserite nel video. Non mi piaceva che un uomo a volto coperto fosse messo in contrapposizione a persone che parlavano mostrando la faccia. Ma diceva delle cose forti e ci sono cascato».     E poi? «Dopo un paio di settimane mi richiama. Mi dice che mi ha riconosciuto, che sa che lavoro a Quinta Colonna e che noi facciamo sempre servizi sui rom. Lui, aggiunge, può raccontarmi come i rom truffano le persone e rubano le macchine. La storia mi sembra buona e ne parlo in redazione».     Quindi i suoi «superiori» sapevano tutto? «È naturale. Funziona così l’organizzazione di un programma. Peraltro ero a Mediaset da 8 mesi, non avevo e non ho l’autonomia per decidere da solo. I miei "superiori" mi chiedono qualche informazione e mi mandano a Mestre».     Cosa trova questa volta? «Il tunisino viene a prendermi e mi porta nella casa che lui occupa abusivamente e dove vive con 5 figli piccoli di età tra i 3 e gli 8 anni. Lì scopro che lui è rom, ed è lui il truffatore. Mi mostra anche una condanna per furto d’auto in cui c’è scritto che ha una "recidiva pluriquinquennale". Si vanta perché ruba, ma nessuno gli fa niente. E mi spiega i suoi trucchi».     E lei? «Gli chiedo se mi può far vedere come fa realmente. Lui fa una serie di telefonate finché trova un venditore. A questo punto si offre di rubare veramente una macchina ma io, per non essere responsabile di un reato, gli dico di realizzare un finto furto utilizzando la macchina dell’operatore».     Quindi il servizio era un finto? «No, la storia è vera. Documentata. Ma non potevo fargli rubare veramente una macchina, anche perché non sapevo cosa sarebbe successo».     Ma la redazione sapeva che il furto era un falso? «Sì. L’accordo era che Paolo Del Debbio, finito il servizio, dicesse che nessuna macchina era stata rubata e che il nostro intento era solo quello di "educare" i cittadini mettendoli in allerta su questo tipo di truffe. Ma non lo fece».     Il suo calvario, immagino, inizia qui. «Sì, perché il giorno dopo il truffatore mi chiama e mi dice che sotto casa sua ci sono i giornalisti. Che è rovinato e non può più fare truffe. Che devo trovargli un lavoro. Attacco e chiamo la mia capostruttura, le spiego la cosa e le chiedo: ma perché non avete detto che quella era una ricostruzione? Mi dice che possono fare un comunicato ma che non possono fare retromarcia. Il titolo sarà: Quinta Colonna sventa una truffa. Io obietto che non è così, che è falso. Le chiedo via sms (mostra il cellulare ndr) se Del Debbio non può spiegare la cosa nella sua striscia quotidiana. Niente da fare. Il comunicato non esce, Del Debbio non parla».     Intanto immagino che le telefonate del "finto rom" non si interrompano. «Assolutamente. Anzi, si fanno più insistenti. Fino a quando, a mia insaputa, va in onda il servizio di Striscia».     Come a sua insaputa? «Sì, io non lo vedo, ma vengo subito convocato a Cologno. Il 13 maggio alle 10.30 sono lì. C’è una riunione con Mauro Crippa, direttore generale Informazione di Mediaset-RTI, il suo vice Andrea De Logu, Mario Giordano, il direttore di Videonews Claudio Brachino, la mia capostruttura Raffaella Regoli e Del Debbio. Penso di dover partecipare, ma mi lasciano fuori dalla porta. Dopo due ore escono e mi comunicano che sono stato licenziato».     Non ha provato a spiegarsi? «All’inizio sono rimasto choccato. Ho chiesto di poter parlare con Antonio Ricci ma mi hanno sconsigliato di farlo. Nel comunicato dell’azienda si accredita la versione che si tratti di un finto rom e di un finto truffatore. Chiedo spiegazioni ma non ne ricevo. Nella lettera di licenziamento si dice addirittura che io abbia ammesso le mie colpe. Ma quando? Non mi hanno voluto nemmeno sentire!».     E ora? «Ora andrò in tribunale a far valere le mie ragioni. Non ho pagato soldi e non ho taroccato nulla».     Secondo lei nella telefonata registrata da Striscia di cosa ha paura il rom? «Di essere riconosciuto come truffatore».     Pensa che il truffatore abbia chiesto soldi a Striscia per «vendere» la sua storia? «Non posso saperlo. Quello che so è che dopo l’intervista sulla truffa delle automobili mi ha chiesto di provvedere al suo sostentamento e a quello della sua famiglia».