"Così tre uomini incappucciati hanno portato via gioielli e ricordi"
«Ho vissuto un’esperienza terrificante, rapinata in casa da tre uomini coperti da passamontagna. Il ricordo di quelle teste con solo due tagli, come feritoie, al posto degli occhi, mi tormenta ancora oggi, ogni giorno. Hanno portato via tutti i miei gioielli più belli, i più cari ricordi, pietre di un grandissimo valore, soprattutto affettivo». Marisela Federici è una donna dolce, che ha fatto dell’arte di ricevere ospiti e pezzi di mondo, a casa sua, nella villa sulla Appia, un’occasione conviviale della propria generosità. Alcune settimane fa, però, una tremenda rapina in villa, con lei e il marito Paolo lì, per interminabili minuti, nelle mani dei rapinatori, l’ha sconvolta. Per sempre. Dopo parecchio tempo - si dice il tempo lenisca le ferite - ha trovato dentro di sé il coraggio di raccontare quel giorno maledetto. «Un fulmine, giorni prima della rapina, era caduto in casa e aveva distrutto l’impianto elettrico. Eravamo senza allarme, senza contatti, senza computer, avevamo solo il filo del telefono. Entro in camera mia, sento un rumore e una voce dura che mi dice, "stai buona o ti ammazzo!". In quei momenti devi avere forza di capire e usare bene il tuo coraggio, senza perder la testa. Io ho chiesto ai rapinatori, "Come siete entrati?". Ho preso quello che ho capito essere il capo, l’ho fissato nei buchi neri del passamontagna e mi sono aggrappata al suo giaccone, in ginocchio: "Per favore non fateci del male, a me e mio marito. Che è un uomo malato". Sono stati attimi di terrore. Ero indifesa, completamente. Lui ha avuto pietà. Io ero stesa per terra. Mi gridava, "Dov’è la cassaforte di tuo marito? Aprila o ti ammazzo". Tutti i gioielli, tutto Bulgari, si son portati via tutto di me. Questo capo ladro io l’ho abbracciato, pregandolo, più volte, di non farci del male. L’ho implorato: ti prego lasciami un anello, qualcosa, un ricordo di tutta questa mia vita! E lui: "Quale vuoi?". Mentre ne tirava fuori uno, mi ha urlato ancora, "buttati a terra, stai zitta o ti ammazzo". Quei minuti, quella rapina, mi hanno rotto dentro. Oggi è passato del tempo, parecchie settimane e lentamente ricomincio a far una vita quasi normale». Dopo il racconto Marisela ha la voce rotta dal dolore. «Nei momenti più difficili leggo Seneca e vado a visitare la sua tomba, proprio di fronte alla mia casa. Del monumento ornato con sculture del Canova è rimasta, molto in alto, soltanto una testina di leone, anche lì i ladri, nel tempo, hanno portato via tutto». Quando le chiediamo perché Seneca lei non esita un secondo: «Ha preferito lasciare la vita per inseguire una moralità in via d’estinzione, la sua grande saggezza e il suo pensiero rimangono eterni, era un uomo che diffondeva, con quel suo filo quasi cristiano, la dignità, la rassegnazione e mi ha insegnato che è il mio spirito che deve cambiare, non il cielo sopra di me perché dovunque andrò porterò sempre dentro me stessa». Pochi secondi di silenzio, poi riprende a parlare. «Nella vita si paga un duro prezzo per quasi tutto, per la generosità, per i sentimenti, per l’amicizia e perfino per la bellezza. Adesso sto cercando di riprendermi psicologicamente. Questi traumi sono complicati e lasciano, anche se uno si sforza di superarli, un segno profondo. Ho validi aiuti, uno psichiatra che non amo molto, perché ogni volta che ci vado mi sembra anche lui un ladro intento a rubare i miei segreti pensieri, scavando nei perché della mia memoria. E poi ho un francescano saggio, molto speciale, che ha trovato una via d’uscita per queste difficoltà e mi mostra il cammino risvegliandomi con tenerezza, considerando che per più di 65 anni sono andata per il mondo sognando la fortuna e fantasticando prodigi». La vita di Marisela, le sue aperture al mondo, la sua generosità, non si sono mai nascoste. «Facevo camminare sempre la speranza davanti a tutto scoprendo che alla fine l’esperienza non mantiene nulla, e che la speranza è la più grande falsificatrice della verità. Adesso so che la delusione recata dalla verità è come un castigo alle illusioni dell’immaginazione. Ma soprattutto ho la mia famiglia, i miei figli. Ho riscoperto la loro tenerezza, la saggezza di una figlia che consideravo "difficile" perché detestava il mio apparire. Ma quanta verità vedo ora nelle sue coraggiosissime critiche». Quel giorno maledetto l’ha cambiata. «Oggi - si confida - esco molto meno, ho paura della gente e nel mio ritiro salutare scopro una vita migliore, che voglio dividere solo con selezionatissimi amici. Mi consolo pensando che tutte le cose di questo mondo sono semplici ombre di quelle eterne, fuggono via da chi le insegue e inseguono chi le fugge». Il suo colloquio con noi si chiude con un’amarezza. Un’altra. «Adesso Padre Renzo, il francescano che mi è stato così vicino, non riesco più a rintracciarlo. Non so se abbia scelto di ritirarsi, di fare una vita da eremita o cos’altro. Quello che so è che vorrei parlargli, ancora. Padre Renzo, se leggi queste mie parole, chiamami. Ti mando un grande abbraccio, profumato di primavera». Perché la vita - nonostante certe giornate maledette - continua.