Dimenticate le auto del sequestro Moro

La memoria è sempre stata custode essenziale della Storia. Cimeli, monumenti, strade, musei, hanno conservato e tramandato il passato proteggendolo dallo scorrere del tempo che, altrimenti, ingiallisce le foto e sbiadisce i ricordi, soprattutto quando i testimoni non sono più in vita. La salma di Lenin, a 91 anni dalla morte, non solo è in ottimo stato ma migliora pure, grazie alla maniacale cura di un gruppo di scienziati, apice d'eccellenza in nella titanica lotta dell'uomo, che se non riesce ad arrestare il tempo tenta almeno di limitarne gli effetti. In Italia, invece, ogni tanto qualcosa fuoriesce dalle maglie della memoria, precipitando nell'incuria e nell'oblio, anche se riguarda uno come Camillo Benso di Cavour, che l'Italia ha contribuito a farla nascere. I 160 ettari che avvolgono la sua residenza in provincia di Vercelli sono incolti e abbandonati, così come la casa, le cui mura si stanno sbriciolando progressivamente. A un secolo esatto dall'intervento italiano nella Grande Guerra è sterminato l'elenco dei monumenti al Milite ignoto, soprattutto nei piccoli comuni, che versano in pessime condizioni. A Roma si presta pochissima attenzione al monumento eretto ai caduti nella strage di Nassiriya, praticamente nessuna a quello intitolato, 10 anni orsono, alle vittime del terrorismo, nomi che faticano a resistere nell'immaginario collettivo. Lo Stato ha scelto il 9 maggio come giornata dedicata a loro, la data in cui le Brigate Rosse restituirono il corpo di Aldo Moro nella famigerata Renault 4 rossa, che è sfuggita alla ruggine solo grazie al proprietario cui venne rubata e poi restituita, Filippo Bartoli che, prima di morire, chiese allo Stato di conservarla. La vettura è custodita in un deposito blindato in attesa di essere collocata nel Museo delle auto della Polizia in via dell'Arcadia. Stessa sorte per la Fiat 130 in cui viaggiava Aldo Moro il giorno del suo rapimento e dove trovarono la morte Domenico Ricci e il caposcorta Oreste Leonardi, da tempo restaurata ed esposta al Museo della Motorizzazione civile. Le altre auto coinvolte nell'agguato di Via Fani, l'Alfetta bianca al seguito del Presidente della DC, in cui furono trucidati gli agenti Giulio Rivera, Francesco Izzi e Raffaele Iozzino e la Fiat 128 del Corpo Diplomatico, guidata da Mario Moretti che inchiodò all'incrocio con via Stresa per farsi tamponare ed avviare la strage, hanno avuto meno fortuna. Si trovano da decenni in un deposito della Polizia a Roma, in via Magnasco, rose dalla ruggine, impolverate e senza molti pezzi originali. L’Alfa, ancora crivellata dai proiettili, appartiene alla Polizia di Stato, la Fiat, anch'essa rubata come la Renault, non è mai stata reclamata da nessuno nel corso degli anni. Giovanni Ricci, figlio di Domenico, ha lanciato una petizione sul sito change.org per chiedere al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e al Ministro degli Interni Angelino Alfano, che anche queste automobili siano restaurate ed esposte: «Vogliamo lasciare un segno tangibile alle future generazioni perché da tanto orrore i giovani comprendano la follia delle ideologie eversive. Solo vedendole dal vivo e toccandole tangibilmente trasmetteremo alle future generazioni quel senso della memoria e della Storia che potrà per loro essere conoscenza e coscienza di quanto accade negli Anni di piombo». Memoria e Storia, ancora una volta indissolubili.