Catturato Provenzano fine dei 43 anni di latitanza
Un braccio teso con una ciotola in mano hanno dato il via al declino di Cosa nostra. Un semplice gesto, un movimento del corpo utile a prendere la bianchieria intima pulita spedita dalla moglie. Nulla di strano se si trattasse di un cittadino italiano che non ha nulla a che fare con la Giustizia. Ma in questo caso chi ha tirato fuori il braccio da un casolare nel corleonese è l’uomo più ricercato negli ultimi 43 anni dalle forze dell’ordine: Bernardo Provenzano. Un movimento del braccio che lo ha costretto, in silenzio e con il volto sereno, a vedere i suoi polsi chiusi da un paio di manette messe dagli agenti dello Sco e della Squadra Mobile di Palermo. Il super latitante dal 1963 e dal 1990 addirittura a livello internazionale, è stato «tradito» da una donna, «la rovina spesso dei ricercati», commenta il capo del Dac Nicola Cavaliere a margine di una conferenza stampa effettuata insieme con il ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu, con il capo della Polizia Gianni De Gennaro e il capo della direzione nazionale Antimafia Piero Grasso. L’uomo considerato per anni un «fantasma» o un cadare oramai da tempo, è stato invece catturato dalle forze dell’ordine, che hanno dovuto ammettere che si trattava ancora di un capo indiscusso di Cosa nostra. Un arresto compiuto senza l’aiuto di pentiti o di trattative, ma grazie al lavoro degli investigatori eseguito con l’utilizzo di telecamere e intercettazioni di pacchi che venivano inviati al boss mafioso dalla moglie tre volte a settimana. L’arresto di Bernardo Provenzano «è frutto di un progetto specifico della procura di Palermo, che ha avuto successo in varie tappe, con l’arresto di imprenditori e politici, che lo avrebbero favorito, l’arresto di talpe, l’indagine a Marsiglia, la recisione di collegamenti del boss con ambienti della provincia di Palermo, quasi per costringerlo a un angolo e a rifugiarsi nei posti più sicuri, quelli vicini a Corleone». Ecco le parole del procuratore nazionale Antimafia, Piero Grasso. «Il fatto che si sia dovuto rifugiare a Corleone - ha osservato da parte sua Prestipino, magistrato della Dda di Palermo - significa che era in difficoltà e che attorno a lui c’era terra bruciata». Il boss di Cosa nostra non avrebbe detto neanche una parola e non avrebbe tentato di reagire, quando sono intervenuti i poliziotti, trenta agenti, che alle 9,30 di ieri mattina sono entrati in azione, trovando Provenzano mentre preparava per pranzo la cicoria. Avrebbe addirittura ammesso di essere lui Bernardo Provenzano, una dichiarazione confermata dagli esami delle impronte digitali prese quarant’anni fa. Da casa continuava a chiedere il pizzo e a controllare l’organizzazione mafiosa. Molta la documentazione sequestrata nel casolare, tra le quali lettere che il boss ha scritto con una macchina da scrivere elettrica «Brother» Ax 410, «pizzini», cioè fogli di carta sui quali dava disposizioni ai suoi «picciotti» su appalti e altri affari di Cosa nostra: «Carissimo Giuffré - si legge in una lettera datata 23 maggio 2001 - con gioia ho ricevuto tue notizie, mi compiaccio tanto nel sapervi a tutti in ottima salute. Lo stesso, grazie a Dio, posso dire di me». Da un anno Provenzano si sarebbe trasferito nel casolare, nel quale c’era un letto, un armadio, un cucinino e una stufa contro il freddo. La casa rurale è adiacente a un ovile e a un capanno che funge da deposito di attrezzi e fienile. Nell’operazione fermato anche un pastore che dava alloggio al boss mafioso, Giovanni Marino. «Escludo che Bernardo Provenzano possa collaborare con la giustizia», ha detto il procuratore Pietro Grasso. «Voglio un infermiere, tra un po’ avrei dovuto farmi l’iniezione...». Sono queste le uniche parole dette dal boss dei boss ai poliziotti che lo hanno catturato a due chilometri da Corleone in una masseria a Montagna dei cavalli. Operato alla prostata in Francia, in una clinica privata di Marsiglia, il capo di Cosa Nostra ha mostrato di preoccuparsi della sua salute. Infatti, su un tavolo nel casolare è stato trovato anche un libro di medicina illustrata che, poco prima di essere sorpreso, stava leggendo. E in un locale vicino alla masseria trovati in un barattolo volantini propagandistici per le elezioni politiche dello scorso 9 e 10 aprile. I volantini fanno riferimento al presidente della Regione siciliana, Salvatore Cuffaro, candidato al Senato per l'Udc, e a Nicolò Nicolosi, sindaco di Corleone, e anche lui candidato alle politiche per Patto della Sicilia. TELCAMERE SATELLITARI PER SCOPRIRE IL COVO DEL BOSS Fiuto, arte di mimetizzarsi e tanta tecnologia. Un’indagine frutto di una tecnica investigativa sofisticata che vede l’armonia di molte specialità della Polizia di Stato confluire sull’obiettivo. Da una parte quindi i cacciatori di latitanti, la catturandi della Mobile di Palermo: conoscitori del territorio e dei picciotti. Con loro gli uomini del Servizio centrale operativo della Dac, specialisti nelle investigazioni speciali nell’ambito della criminalità organizzata: poliziotti in grado di ricostruire scenari e tessere la rete per catturare pericolosi criminali. E poi l’intervento della polizia scientifica scesa in campo con il meglio della sua teconologia. Telecamere sofisticate in grado di riprendere a diversi chilometri di distanza. Obiettivi usati dai satellite insomma per seguire le mosse dei picciotti in quel di Corleone. Impianti radar da «guerre stellari» e sistemi di telecomunicazione da far invidia alla Nasa. (...). L’URLO DI PALERMO: «BASTARDO» Alle 15 la giornata grigia si illumina di flash e il brusio si trasforma in boato: «Bastardo». Così urla la folla quando arriva Bernardo Provenzano, il boss dei boss ridotto in manette. Una ventina di poliziotti presidia l'ingresso della questura di Palermo. A pochi metri di distanza ci sono più di duecento persone che, sotto la pioggia, aspettano l'arrivo della primula rossa di Cosa nostra, «Binnu» ricercato da 43 anni, Binnu che ieri è stato arrestato dagli uomini della Squadra mobile di Palermo, sorpreso in un casolare di campagna a due chilometri da Corleone, nel palermitano. L'attesa comincia alle 11. Davanti alla questura si radunano giornalisti, studenti, quelli del comitato antipizzo, curiosi attratti dalla folla. «Che ci fu?», chiede una donna. «Niente», risponde una ragazza con un sorriso compiaciuto. «What's happened?», domanda una coppia di turisti inglesi diretti alla Cattedrale. «U pigghiàru - gli fa un ragazzo - hanno preso Provenzano. The boss. Mafia». I volti inglesi si illuminano. Arriva pure un gruppo di giapponesi. Fotografano oltre ogni cliché. La folla aspetta ancora. Alle 14,45, arriva Piero Grasso, il procuratore nazionale antimafia. Applausi. «Questo arresto - afferma - è il risultato di alta tecnica investigativa. Niente aiuti esterni. I collaboratori non c'entrano». Alle 15 in punto arrivano tre auto a sirene spiegate. La folla urla: «Bastardo, assassino». E applausi per la polizia. Gli agenti di polizia si stringono attorno alla vettura che trasporta l'ex primula rossa. Scende dall'auto un uomo piccolo. Capelli folti, bianchi come la neve. Occhi bassi dietro alle lenti con la montatura d'oro. Tiene i polsi ammanettati all'altezza del cuore. Indossa un giubbotto scuro, jeans chiari e scarponcini. Sembra un uomo tranquillo che ha deciso di finire i suoi giorni in campagna Provenzano. Sembra un ragioniere in pensione (...).