La moglie gli fa fare (a sua insaputa) la rapina

Una rapina finita nel sangue. Potrebbe essere questa, in estrema sintesi, la cronaca di quello che è successo la mattina del 15 ottobre 2012 a Roma, nel quartiere Gianicolense, davanti a un supermercato di periferia. In realtà dietro un episodio criminale, apparentemente come tanti altri, si nasconde un intreccio di fatti e personaggi che potrebbe prestarsi alla sceneggiatura di un film giallo. Gli ingredienti ci sono tutti. Il fuoco amico: una guardia giurata che utilizza la pistola di servizio per sparare contro due colleghi, uccidendone uno. La vendetta: il tentativo di svaligiare il furgone portavalori della stessa società di sicurezza presso cui quel vigilantes lavorava, con l’obiettivo di vendicarsi di presunte minacce e pressioni subite negli anni. La finzione: un barista che si spaccia per un poliziotto del Nucleo operativo centrale di sicurezza e offre protezione e amicizia a quella guardia giurata, al punto da spronarlo a diventare un rapinatore. Il retroscena: la moglie del vigilantes che, con la scusa di controllare che il marito non la tradisca di nuovo, assolda quel barista e gli chiede di interpretare un personaggio inesistente, l’agente dei Nocs corrotto. I FATTI Alle 6,55 circa del 15 ottobre 2012 Manlio Soldani si apposta dietro il muretto di cinta dell’ingresso del supermercato Todis di via dei Carafa 16, nel quadrante sud della Capitale, in zona Pisana. In quel momento due guardie giurate della società cooperativa Coopservice stanno prelevando dal vano cassaforte del supermercato una busta sigillata contenente l’incasso, pari a 35 mila euro in contanti. Nel furgone portavalori di Coopservice, guidato da una terza guardia giurata, sono custoditi altri 600.000 euro. Indossando l’uniforme da vigilantes, con il viso coperto da un passamontagna scuro e armato di una pistola calibro 40, Soldani coglie di sorpresa i due colleghi, Salvatore Proietti e Gianluca Palomba, sparando verso di loro quattro colpi. Due di questi feriscono di striscio al braccio destro e al petto Palomba, che ha il tempo di rispondere al fuoco. Dopo essere stato curato viene subito dimesso dall’Aurelia Hospital. Un terzo colpo, invece, trapassa gli organi interni di Proietti, procurandogli lesioni gravissime che ne determineranno il decesso il 5 dicembre 2012, presso l’ospedale San Camillo, dove era stato ricoverato il giorno della sparatoria. LA CONDANNA Lo scorso 9 dicembre Manlio Soldani, 40 anni, residente ad Ard ea (sul litorale romano) è stato condannato all’ergastolo con rito abbreviato come “autore materiale” dell’omicidio di Proietti. Nessuna attenuante è stata concessa dal giudice per quella che viene definita come «un’azione fratricida in danno di due colleghi». Attualmente Soldani si trova recluso presso la casa circondariale Regina Coeli. I suoi legali hanno presentato appello contro la sentenza. IL PROCESSO Se Soldani è identificato come l’autore materiale della tentata rapina e del conseguente omicidio, alla moglie Clizia Forte viene attribuito il ruolo di “concorrente morale”. Una sorta di burattinaio – secondo l’ipotesi dell’accusa – che avrebbe manovrato il marito fingendosi un agente dei Nocs corrotto. «Mediante il continuo e costante contatto tramite sms al telefono del marito – si legge nel capo di imputazione – ne rafforzava il proposito criminoso della rapina, in cui era prevista l’aggressione a colpi di arma da fuoco nei confronti delle guardie giurate incaricate delle operazioni di raccolta degli incassi». Per fare ciò la donna di celava dietro i nomi di “Davide Rissi” e “Andrea Rissi”. Si tratta di identità fatte assumere a Enrico Simoni e Andrea Simoni, presentati al marito il primo quale appartenente al Nocs della Polizia di Stato e il secondo quale suo datore di lavoro. Sia nella finzione, che nella realtà i due sono fratelli. Tramite un’apposita utenza telefonica, la donna «inviava a Soldani sms perché si convincesse della loro reale esistenza e della possibilità di agevolarne la condotta delittuosa». Clizia Forte è attualmente imputata davanti alla terza Corte d’Assise di Roma per il concorso nella tentata rapine e per l’omicidio premeditato della guardia giurata Salvatore Proietti. Nello stesso procedimento Simone Cuomo è alla sbarra per favoreggiamento, «avendo aiutato Soldani – si legge nel capo d’imputazione – a eludere le investigazioni nei suoi confronti, avvisandolo che la polizia giudiziaria aveva prelevato la tazzina da caffè» da lui utilizzata Soldani il 23 ottobre 2012 presso il bar Company di Ostia, gestito da Cuomo. GLI ATTORI I fratelli Enrico e Andrea Simoni, in arte Davide e Andrea Rissi, hanno già patteggiato la pena per il reato di sostituzione di persona. «Non si è mai parlato di rapine – ha raccontato ai giudici della III Corte d’Assise Enrico Simoni – Io facevo il barista e avevo messo un inserzione in cui offrivo di fare delle traduzioni di testi dall’inglese all’italiano. Sono stato contattato da Clizia Forte che mi ha proposto di interpretare un personaggio: il mio nome doveva essere Davide Rissi, ero un poliziotto, ero nato lo stesso giorno di Soldani, vivevo tra Napoli e Roma, avevo una figlia di nome Alice e stavo divorziando da mia moglie Francesca. Questo era il copione da seguire. Le chiamate che facevo a Manlio erano sempre su richiesta della signora Forte, era lei che mi dettava il testo da leggere e che custodiva il telefono. Era sempre Clizia che mandava gli sms al marito fingendosi Davide, ossia il mio personaggio. Mi disse che il suo scopo era quello di controllare Soldani, che era finito in una chat di prostituzione». «A parte il compenso per le traduzioni – ha proseguito nella sua testimonianza Enrico Simoni – non sono mai stato pagato per il ruolo che interpretavo. Si trattava di prestare il mio volto e la mia voce. In due anni e mezzo avrò fatto una trentina di telefonate. Poi il personaggio, col passare del tempo, si è evoluto, perché Soldani voleva anche vedermi e fare vacanze assieme. Da qui l’esigenza di dire che facevo parte del reparto speciale dei Nocs». «Sono stato superficiale ad accettare l’incarico – conclude Simoni – ma l’ho fatto a fin di bene, per aiutare la signora Forte a salvare il suo matrimonio, tra noi si era stabilita un’amicizia, mi fidavo di lei. Mia moglie non era contenta di questa situazione, ma quando ho cercato di smettere Clizia mi ha implorato dicendomi "non mi puoi lasciare ora". È una manipolatrice e il giorno dell’arresto di Manlio mi ha chiesto di non raccontare la verità ai carabinieri se no avrei passato anche io dei guai». IL BURATTINO Parla di manipolazione anche Soldani, ieri ascoltato come testimone nell’aula bunker di Rebibbia, davanti allo sguardo vigile della moglie. Non sarebbe lei la responsabile di questo raggiro secondo Soldani che, quando parla del «fantomatico Davide», parla al plurale: «Ci coccolava e ci manovrava. Per me era come un fratello. La società per la quale lavoravo, la Coopservice, era venuta a conoscenza dei miei tradimento con delle prostitute e mi minacciava. Davide mi aveva offerto protezione, sapevo che era un capo dei Nocs. Lo avevo idealizzato come l’onnipotente. Gli avevo anche dato le chiavi di casa. Poi mi ha spronato a fare la rapina che mi aveva proposto Cuomo, come rivalsa nei confronti della Coopservice. I soldi servivano per aprirci un franchising, insieme a suo fratello Andrea. Prima del colpo di via dei Carafa, c’erano stati altri tentativi di rapine, ai quali mi ero sempre opposto. Il ruolo di Davide era quello di deviare le pattuglie delle forze dell’ordine e tranquillizzarmi. Anche quel giorno mi disse “vai ora”. A volte in cella sento ancora la sua voce che mi ripete: “questa volta spara senza pensare”».