La vedova Gucci ai servizi sociali
Il giudice del tribunale di Sorveglianza di Milano Roberta Cossia ha concesso l'affidamento in prova ai servizi sociali a Patrizia Reggiani, condannata a 26 anni per l'omicidio del marito Maurizio Gucci, avvenuto il 27 marzo 1995 in via Palestro a Milano. La vedova Gucci, che ha trascorso 16 anni dietro le sbarre, sconterà la pena residua lavorando in uno showroom di moda e svolgendo volontariato alla Caritas. Dopo la firma all'Uepe, l'ufficio esecuzione penale esterna, la Reggiani, che ha ottenuto da sei mesi la sospensione della pena e vive con l'anziano madre, potrà iniziare l'affidamento in prova. L'omicidio. Quello di Maurizio Gucci fu un delitto che sconvolse negli anni '90 la Milano bene. Per l'identità della vittima, fra i protagonisti indiscussi della moda, ma soprattutto, alla scoperta di killer e movente, per quella della mandante, l'ex moglie, animatrice dei salotti milanesi, che non avrebbe sopportato l'idea che il suo ex sposasse un'altra, intaccando, sostennero i giudici, il patrimonio che sarebbe dovuto andare alle figlie. Il 27 marzo 1995 Maurizio Gucci venne ucciso alle 8,30 del mattino mentre entrava nel portone di via Palestro 20, sede della sua società, dopo essere uscito dalla vicina abitazione di corso Venezia. Un killer, poi identificato in Benedetto Caraulo, gli esplose tre colpi di pistola uccidendolo sul colpo e ferì il portiere dello stabile, Pino Onorato, che aveva assistito all'esecuzione. Dopo l'omicidio salì quindi su una Clio verde, guidata da un complice, Maurizio Cicala, facendo perdere le proprie tracce. Le indagini si presentarono all'inizio difficili. Due le piste seguite: quella relativa al mondo degli affari e quella passionale. Per quanto riguarda la prima, gli investigatori si soffermarono soprattutto su alcuni investimenti fatti dall'imprenditore e in particolare sul progetto per l'apertura di un casinò in Svizzera, nato dopo che Gucci aveva venduto nell'estate del '93 la sua partecipazione azionaria nella casa di moda, pari a circa il 50%, che gli fruttò circa 120 milioni di dollari. Nel gennaio 1997. La svolta nelle indagini arriva quando un confidente mette la polizia sulle tracce di due persone in cerca di aiuto "per dare una lezione alla vedova" che, dopo averli assoldati per uccidere il marito, "tirerebbe sul prezzo" pattuito in 600 milioni. Torna così in primo piano la pista familiare, che in un primo tempo non aveva portato a risultati ma che aveva già visto fra i possibili sospetti Patrizia Reggiani, lasciata dal marito dopo 15 anni di matrimonio con un assegno di mantenimento annuale di 1,2 miliardi di lire per una nuova compagna, Paola Franchi. Un agente si infiltra allora nella banda, spacciandosi per un killer disposto a convincere la donna a pagare e riempiendo invece abitazioni e automobili dei sospetti di microspie. Spunta così il nome di Ivano Savioni, portiere d'albergo, che per i giudici avrebbe reclutato Ceraulo su incarico di una lontana parente, Giuseppina Auriemma, la maga amica da 25 anni di Patrizia Reggiani. Il 30 gennaio 1997 scattano le manette per tutte e 5 le persone coinvolte. Patrizia Reggiani (la mandante), Pina Auriemma e Ivano Savioni (gli organizzatori), Benedetto Ceraulo e Orazio Cicala (gli esecutori). L'11 maggio 1998 prende il via il processo (presidente il giudice Renato Samek Ludovici, pm Carlo Nocerino) dopo che gli arrestati hanno già trascorso 16 mesi in carcere, con una breve pausa in ospedale per Patrizia Reggiani, sofferente per un intervento al cervello subito nel 1992. Proprio questo provocherà uno scontro fra accusa e difesa, che sostiene l'incompatibilità della donna con la detenzione in carcere e ne sottolinea la mancanza di capacità critica nel valutare i fatti. La perizia però boccia queste tesi. Si arriva quindi al dibattimento: alcuni imputati prima ammettono le responsabilità, poi ritrattano. Patrizia Reggiani invece conferma sempre la propria tesi: "Sono stata vittima di un ricatto. Hanno ucciso Maurizio e poi mi hanno chiesto il denaro. Se non avessi pagato mi avrebbero denunciato per l'omicidio". Tesi insostenibile secondo l'accusa, considerato anche il fatto che da tempo la donna non faceva mistero di voler uccidere l'ex marito rivolgendosi addirittura alla colf e al cameriere perché l'aiutassero a trovare un killer e poi chiedendo a un avvocato cosa avrebbe rischiato se lo avesse fatto ammazzare. "Per lei era un'ossessione", ha sostenuto il Pm. Non solo, secondo Pina Auriemma la Reggiani, quando si trovavano già in carcere, le avrebbe offerto 2 miliardi per essere scagionata. Il 20 ottobre 1998: il Pm chiede l'ergastolo per tutti i 5 imputati. Il 3 novembre 1998: i giudici milanesi condannano Patrizia Reggiani a 29 anni di reclusione. Ergastolo per Benedetto Ceraulo, ritenuto l'esecutore materiale del delitto. Stessa pena per Orazio Cicala, l'uomo che avrebbe guidato l'auto usata per l'omicidio. Ivano Savioni è stato condannato a 27 anni e Pina Auriemma a 25. Il 17 marzo 2000: i giudici d'appello di Milano riducono da 29 a 26 anni la condanna di Patrizia Reggiani. La prima Corte d'Assise d'Appello, presieduta da Corrado Carnevali, dopo poco più di 7 ore e mezza di Camera di Consiglio, diminuisce le pene di primo grado anche agli altri imputati: dall'ergastolo a 28 anni, 11 mesi e 20 giorni per Benedetto Ceraulo, da 25 anni a 19 anni e 6 mesi per Pina Auriemma, da 29 a 26 anni per Orazio Cicala e da 26 a 20 anni per Ivano Savioni. Il pg Laura Bertolè Viale, nella sua requisitoria, aveva chiesto l'ergastolo per la signora Gucci sostenendo che fosse furba e non "malata di mente", come invocato dalla difesa che, ricordando l'operazione al cervello subita dalla donna, ne sosteneva l'incapacità di intendere e volere. 9 novembre 2000: Patrizia Reggiani tenta il suicidio in carcere. Il 19 febbraio 2001 la Cassazione conferma le condanne. Il 16 settembre 2013 la vedova Gucci, dopo 16 anni di carcere, beneficia del lavoro esterno in una casa di moda.